Rieti e i conti di fine anno: un po’ di chiarezza

Che il Comune fatichi a tirare avanti lo vediamo tutti. Ad esempio dall’illuminazione pubblica: l’ente è moroso con l’Enel e intere strade di Rieti sono al buio. Sono i sintomi di un sostanziale dissesto. Che la cassa pianga lo conferma anche una recente deliberazione della Corte dei Conti.

In compenso l’Amministrazione comincia ad immaginare un piano di rientro. Sarà la solita ricetta depressiva alla Monti: tagli di spesa e ricerca di maggiori entrate. Queste ultime arriveranno in parte dal giusto recupero di tributi non versati, in parte dall’aumento della pressione fiscale e dei costi dei servizi. L’Imu appena pagata rende bene l’idea di quel che aspetta i cittadini.

In questa situazione rattrista vedere immutato il piano dello scontro politico. La strategia dell’opposizione punta a minimizzare i debiti e magnificare i crediti. E quando proprio non gli riesce di negare i problemi, scansa comunque la responsabilità di averli creati.

Da parte sua la maggioranza cerca di darsi un tono responsabile, quasi rassegnato, come chi deve portare una croce non sua. Negli ultimi mesi ha talmente insistito sul tema del dissesto da averne quasi fatto l’unico orizzonte dell’azione amministrativa.

Va bene la differenza di opinioni, la divergenza di impostazione politica, il bisogno di marcare la propria identità. Ma si direbbe che il fallimento della città stia prima in questo “muro contro muro”, e poi nei conti in rosso. A che serve non ammettere gli errori e le responsabilità? E quale bene comporta rinfacciare continuamente l’eredità ricevuta?

La ricostruzione contabile diamola per fatta: il giudizio della Corte dei Conti può bastare. Piuttosto sarebbe ora di raccontare al pubblico la storia di quelle spese, di quelle scelte amministrative. Non servirebbe solo ad indicare e allontanare chi ha responsabilità oggettive, politiche e non solo. Sarebbe soprattutto utile ad una discussione chiara e aperta sul volto reale della nostra città.

Di cosa vive? Come si muove? A chi e a cosa sono servite tutte le spese che hanno portato al dissesto? Chi si è arricchito, e chi ci ha rimesso? Su questi argomenti andrebbe fatta chiarezza per ricostruire un terreno comune, uno spazio entro cui far vivere una sana dialettica politica.

Il momento storico che attraversiamo è tutt’altro che banale. Ma allora non fermiamoci allo scontro politico più superficiale e immediato.

A nostro modo di vedere, la rinuncia al gioco delle parti è ormai una necessità. È inevitabile se davvero si vuole restituire alla città una qualche prospettiva di miglioramento.

E allora, piuttosto che recriminare, sarebbe il caso di approfondire la realtà, di fare autocritica, di sgombrare il campo dalle macerie prodotte dagli errori del passato.

Non è una esortazione al “volemoce bene”, né un invito ad una qualche forma di consociativismo. Al contrario: di fronte al prezzo che siamo costretti a pagare, mettere in chiaro e ridiscutere il modo in cui il potere è stato diviso o condiviso è necessario più che mai.

Il sistema città ha trovato il suo limite e il crac di certe aziende-partito ne è la testimonianza. Chi pensa di poter costruire un nuovo ordine nel segreto di poche stanze sbaglia.

Se non si fa un po’ di chiarezza, come potrà prodursi una rinnovata coscienza collettiva, di cosa si alimenterà il senso civico? La voglia di partecipare nei cittadini non manca, ma spesso viene delusa dalla tendenza a nascondere le cose, dall’ipocrisia degli amministratori.

Con buona pace di chi ha vinto le elezioni, l’azione politica che tutti ancora stanno aspettando ha poco a che fare con i conti del Comune. Ciò che manca è la transizione verso una città rinnovata, finalmente libera dalle opprimenti tare del passato.

Non basta promuovere assemblee per dare vita alla partecipazione: bisogna scoprire le carte, aprire un vero dibattito pubblico, mettersi a confronto delle esigenze di tutti. Solo così può accadere che non siano sempre gli stessi a pagare. Solo così si può rimuovere il senso di ingiustizia di fronte alle difficoltà che si presentano.

Dal debito occorrerà pure rientrare, ma andrebbero tenute in considerazione la composizione della popolazione, l’età anagrafica dei residenti, la dislocazione dei servizi, le vocazioni e i problemi dei quartieri. Può darsi che l’Imu sia un male necessario, ma non si può trattare allo stesso modo chi vive di affitti e chi possiede solo la propria casa.

Volere un po’ di chiarezza è chiedere troppo? Può darsi: forse l’attuale classe dirigente non è proprio adeguata per un compito simile. Forse c’è un vuoto culturale prima che politico. Ma non per questo dobbiamo sventolare la bandiera bianca. Nell’attesa di poter trovare di meglio continuiamo a coltivare un atteggiamento consapevole, a porre problemi estranei alle agende del momento, a contrastare l’invadenza di quegli interessi particolari che pregiudicano il benessere collettivo.

In fondo una buona dose di fiducia è il minimo per poter fare finta che il prossimo sarà un buon anno.