La povertà? È un vero affare!

Ci risiamo: l’anno volge al termine e i vari “osservatori” pubblicano le loro analisi sulla realtà economica e sociale. A leggere quelli dell’Eurostat verrebbe da dire che piove sul bagnato. L’ente statistico europeo, infatti (casomai non ce ne fossimo accorti), ci informa sull’aumento della povertà e sul rischio di caderci.

Ovviamente sui giornali si riporta la notizia e si dibatte il tema. Noi non possiamo certo essere da meno! Non ci convince, però, il punto di vista generalmente proposto. Per darsi un tono da “voce critica”, gli opinionisti puntano il dito contro le politiche di austerità che oggigiorno vanno di gran moda in Europa. Come critica è un po’ debole: sono cose che conferma lo stesso Monti! Salvo difendersi, dall’alto della sua cattedra, con l’idea che i poveri sono un male necessario se si vuole salvare il bilancio dello Stato.

“Tenere i conti a posto” sarà pure una buona cosa, ma il rigore e un certo tipo di sobrietà non sono semplici necessità amministrative. La politica non è mai neutrale, e quella economica non fa eccezione. Anche quando la dettano i “tecnici”, serve per spostare le risorse, cioè per avvantaggiare qualcuno a spese di qualcun altro. Peccato, dunque, che i tanti ragionamenti che si fanno sulla crisi, non si occupino quasi mai di quale fine facciano i beni persi da chi si impoverisce. Non sarà che finiscono nelle mani di quei piccoli gruppi che continuano ad arricchire?

In un mondo in cui tutto è determinato dal mercato, non ci sarebbe mica da stupirsi se anche l’austerità, il rigore e i tagli alla spesa fossero un business!

Parliamoci chiaro: chi è costretto all’indebitamento più dei poveri? Il debito pubblico sarà pure una cosa orribile, ma quello privato viene visto ancora con un certo favore. Guardiamo al credito al consumo: sono molto pochi a parlarne con sospetto. Oppure alle carte di credito: un tempo erano uno status symbol, segno di grande affidabilità economica. Oggi non le si rifiuta praticamente a nessuno, per quanto spiantato sia.

Anzi: proprio perché in difficoltà, disoccupati, precari ed esodati costituiscono un bacino inesauribile per l’offerta dei servizi finanziari. E chi ancora lavora, per garantirsi una pensione dignitosa se ne deve pagare anche una integrativa privata.

Ecco lo scopo delle riforme del lavoro e delle pensioni! Che bravi i tecnici: trovano sempre nuovi modi di avvantaggiare le lobby della finanza! Magari con la scusa di dare una mano a chi si trova in difficoltà.

Pensiamo alla “Social Card”. L’ha inventata l’ex ministro Tremonti, ma pare piaccia anche al governo tecnico, ormai dimissionario. I primi giorni di novembre il ministro Grilli parlava apertamente di un ampliamento degli aventi diritto. Ma di fronte alle esigue cifre che vengono accreditate sulla “Carta Acquisti”, qualche ingrato sostiene che il vantaggio per le famiglie sarebbe pressoché inesistente.

I più maliziosi, da parte loro, sospettano addirittura che la carta non serva tanto ad aiutare gli anziani a fare la spesa, quanto ad abituarli all’uso di certi strumenti.

Che c’è di male! In fondo li si vuole solo far evolvere, modernizzare, sollevare dall’antiquata abitudine di “segnare” il conto dal pizzicarolo!

Anche altre scelte del governo tecnico sono andate nella direzione di allargare il pubblico dei servizi finanziari. Pensiamo all’obbligo dell’accredito su conto corrente delle pensioni sopra i mille euro o all’imposizione di un tetto massimo ai pagamenti in contanti. Con la scusa dell’evasione fiscale si obbliga all’uso delle banche un bel po’ di persone che per vari motivi ne facevano volentieri a meno.

Ma che volete farci: sono le nuove politiche sociali e dell’inclusione. Sì: dell’inclusione bancaria!