Informagiovani: siamo tutti dipendenti!

È estremamente facile cadere in luoghi comuni, e credere che i “tossici” siano una realtà distante da noi. Accade perché si ha fretta di giudicare, di etichettare e di allontanarci da ciò che percepiamo come diverso. O da ciò che più temiamo di poter essere.

Ma fermiamoci a riflettere, guardiamo alle parole. È “dipendenza” a dare il senso del “tossico”.

Anche shopping, gioco d’azzardo, sigaretta (elettronica e non), internet, televisione, sesso e alcol, sono parole che possono essere messe insieme a “dipendente”. Tante cose, se usate e vissute in modo esagerato e frequente, ci rendono assai simili ai “tossici”.

La maggior parte di noi, in un modo molto diverso e personale, consapevole o inconsapevole, vive una dipendenza. Anzi, la cosa più difficile, se non impossibile, è forse riuscire a restare immuni.

Guardiamo alla società: appare essa stessa “intossicata” da una tipologia di comunicazione ormai libera e globale. In questa condizione, e soprattutto per i giovani, è sempre più difficile restare ancorati alle “tradizionali” modalità di interazione, che da sempre favoriscono in modo “sano” i naturali processi di aggregazione.

Ormai sembra essersi persa la bellezza dell’incontrarsi e di parlare sinceramente. L’abuso degli schermi toglie la semplicità di guardare attraverso gli occhi e le parole dette. Forse molte dipendenze nascono da questo tipo di sofisticazione.

Oltre alla dipendenza da alcol e droga, ci sono anche la dipendenza dalle sigarette, dal telefono cellulare e dal cibo. Ormai ogni ragazzo e ogni ragazza hanno il telefono cellulare sempre in mano. Si è persa nel tempo la voglia di giocare con il pallone o di andare da qualsiasi parte, magari in bicicletta o in motorino, senza rimanere incatenati al cellulare.

Sapendo che ogni dipendenza porta conseguenze e effetti più o meno diversi e gravi, e partendo dal fatto che potenzialmente possiamo essere tutti “dipendenti”, è forse relativamente più “facile” calarsi nell’ottica del tossicodipendente.

Emerge che le cause, le origini, e il principio che favoriscono lo sviluppo di una dipendenza risiedono inevitabilmente in un disagio. Il più delle volte è la necessità, il bisogno, il desiderio di colmare un senso di vuoto che pare essere incolmabile.

Una condizione ancor più amplificata, forte e sentita se vissuta da un giovane. Staccarsi dal mondo dell’infanzia per affacciarsi a quello degli adulti non è mai una transizione automatica, né facile.

Questo passaggio può essere qualcosa che disorienta, che proietta senza scelta verso una nuova condizione e un nuovo modo di essere. Uno stato in cui ci si può sentire molto soli.

Specialmente se accompagnato ad altre difficoltà, come la perdita di un genitore, scomparso o fuggito per fare una nuova vita. Non è raro, quando i genitori hanno divorziato e abitano lontani l’uno dall’altro, che la mancanza di affetto spinga i ragazzi a cercare relazioni forzate. Situazioni in cui due ragazzi si fanno male a vicenda perché stanno insieme vedendo la propria ragazza come una mamma o un infermiera. Si chiama dipendenza di affetto.

La solitudine, la necessità di appartenere ad un gruppo, la voglia o la non voglia di crescere, la noia, il sentirsi incompresi, poco ascoltati, possono dunque, molto spesso, fare sì che un giovane adolescente, pur di colmare il vuoto che vive, faccia appello a sostanze stupefacenti (o simili) che donano l’illusione di poter trasfigurare la realtà in meglio, l’illusione di arrivare a sentirsi adulti in fretta e nel modo più veloce.

Questo tipo di disagio interiore, se mescolato ad un ambiente poco florido di opportunità e stimoli, può predisporre un giovane ancora di più ad avvicinarsi e, nel peggiore dei casi, a cadere nella trappola delle dipendenze.

(a cura di Caterina D’Ippoliti e Alec Mezzadri)