Mai trascurati: dai mosaici bizantini di Ravenna al primo Rinascimento
Re, maghi, profeti, sacerdoti, principi e pellegrini, tantissimi e variegati sono i “ritratti” che nell’arco dei secoli hanno accompagnato nell’immaginario collettivo quei “personaggi” che Matteo (2,11) nel suo Vangelo indica come: “Magi che giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo”. Anche l’arte con le sue immagini, ha cercato di dare un volto ed una identità ai Magi che “aprirono gli scrigni e offrirono in dono oro, incenso e mirra”.
Provenivano da oriente dice Matteo, e così nello splendore dei mosaici della chiesa di San Vitale a Ravenna, tutto rimanda al mondo bizantino del VI secolo: su uno sfondo caratterizzato da palme ricolme di datteri, si muovono i Magi rappresentati come tre Re che indossano l’abito tipicamente persiano caratterizzato dagli “anaxyirides”, i pantaloni aderenti e adorni di pietre preziose e il berretto frigio, una specie di tiara dalla forma troncoconica. L’immagine traduce non solo l’evento, ma anche il mondo dell’Impero d’Oriente, e così i gesti recuperano la sacralità liturgica di Costantinopoli, i doni sono consegnati nelle mani avvolte in un lenzuolo gemmato, richiamo alla cosiddetta “velatio”, ed i tre personaggi sono in atteggiamento di “proskynesis”, con il saluto di sottomissione che veniva tributato a Cristo, Re dei Re.
Nel corso dei secoli i Magi divengono pellegrini e con l’apertura della via francigena ed il percorso di Compostela, li troviamo in cammino nelle facciate delle chiese poste lungo la via Romea. Significativo è il portale del Duomo di Pisa con la Porta di San Ranieri (1180-1185), dove il maestro Bonanno Pisano scolpisce in formelle bronzee la “Cavalcata dei Magi”. La porta segna un momento di passaggio tra l’arte bizantina e quella occidentale: i tre personaggi perdono i caratteri orientali e sono ritratti come dignitari a cavallo che procedono lungo la sommità di una collina, delineata dalla curva che separa idealmente e visivamente il Nuovo Testamento, dal Vecchio Testamento immortalato dalle immagini dei progenitori. Anche l’abbigliamento indica il nuovo lessico con il “pallium”, il paramento liturgico della Chiesa di Roma, fissato al collo da una spilla gemmata.
Qualche secolo dopo, con l’arte del primo Rinascimento, il mondo dei Magi diventa la traduzione figurativa del mondo cavalleresco, e così la “peregrinatio” diventa il corteo del principe. Gentile da Fabriano, nella sua “Adorazione dei Magi” (Firenze, Galleria degli Uffizi) realizzata nel 1423 per la cappella Strozzi in Santa Trinita a Firenze, dà lustro a questo mondo di cavalieri e di dame, di armi e amori, di spada e di religione. L’artista concentra la sua attenzione nella parte alta su una vera e propria narrazione suddivisa in tre episodi affiancati: da lontano sullo sfondo della prima lunetta i Magi sono sulla cima del Monte delle Vittorie dove scrutano il firmamento; nella seconda lunetta il racconto si sviluppa lungo una linea sinusoidale dando avvio ad una “kermesse” di caccia con falconieri, dignitari e scudieri, scimmie e leopardi esotici, cani fedeli e cavalli bianchissimi. Nell’ultima lunetta infine, si vedono i re vestiti con stoffe dai colori raffinatissimi e broccati scintillanti d’oro.
Gentile da Fabriano non dimentica che la storia dei Magi è la celebrazione dell’umiltà dell’incarnazione di Cristo, così al centro della tavola pone i tre re adoranti dinanzi al Bambino Gesù, coperto da un leggerissimo lenzuolo: il più anziano è prostrato dinanzi ai suoi piedi, il secondo si sta avvicinando e con la mano si toglie la corona, il terzo è appena sceso da cavallo. La loro offerta è il simbolo della perdita consapevole della potestà terrena: dono gratuito di sé.