La via dei cuori

È il cammino proposto da Robert Cheaib nel suo “Un Dio umano”

“Il cammino verso la preghiera è un cammino di recupero dell’integrità del cuore e dell’essere”.

“Un Dio umano” di Robert Cheaib (San Paolo, 169 pagine) è un libro che potrebbe essere riassunto in queste parole. Il suo scopo, infatti, è quello di riavvicinare alla fede attraverso altro che non la dottrina o la teologia, non perché queste ricerche non siano valide, ma perché l’autore conosce la via dei cuori in tempesta e di quelli che rischiano il torpore. Per questi è stato scritto il libro: tentare la comunione con chi è stanco di parole, di assiomi, di razionalizzazioni, e mostrare come quella della ricerca sia una strada comune, anche quando questa ricerca distrugge certezze e crea solitudini che talvolta sembrano irrimediabili. E che soprattutto, come nella bella poesia di Derek Walcott qui riportata, ci riporta a bussare alla porta chiusa di noi stessi. E ad aprirla.

Il metodo è la riscoperta dell’amore, semplicemente. Ma non è solo al lontano che si rivolge Cheaib in questo suo lavoro, perché l’invito è aperto anche a chi, pur riconoscendosi nella Chiesa, sente il bisogno di riscoprire le radici, non solo quelle culturali e dogmatiche. Partendo dai due Giovanni, ad esempio. “Giovanni non fa del suo ministero profetico un business (…). Giovanni è un buon maestro. Non ha preparato i discepoli per se stesso, per farsi un nome”. Quanti oggi avrebbero fatto come quel randagio profeta che chiamava nel deserto alla conversione, rinunciando al potere e ai guadagni portati da centinaia di persone che lo avrebbero seguito ovunque? L’altro Giovanni, l’evangelista, è colto da Cheaib nella sua dimensione misterica ma nello stesso tempo nella sua disarmante, semplice, anti-culturale affermazione che la chiave di tutto sta nell’amore. L’autore del più sconcertante, affascinante, enigmatico Vangelo, che pone l’uomo di fronte al brivido dell’inizio di ogni cosa e lo avvicina perfino alla fisica contemporanea con quel suo “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio” è anche quello che offre il disarmante segreto del cristianesimo delle origini: “Un comandamento nuovo vi do: che vi amiate gli uni con gli altri; come io ho amato voi”.

Il lettore potrebbe essere sfiorato dal sospetto che questo sia un libro contro la cultura e la ragione del mondo post-moderno, ma le cose non stanno così, anzi. L’autore pone alcune fondamenta culturali e filosofiche alla base del suo lavoro, in primis un filosofo francese, Maurice Blondel (1861-1949) che ha combattuto il razionalismo estremo e il materialismo positivista della seconda metà dell’Ottocento. Blondel pone al centro del suo pensiero l’azione: è quindi un pensatore che affonda il dito nella ferita del Novecento, paralizzato da un eccesso di compiacimento intellettualistico che diventava in alcuni casi impotente scetticismo, acido disprezzo per l’altro, sarcasmo verso ogni parvenza di fede o azione politica. L’agire crea un senso, affermava il filosofo, e soprattutto libera l’uomo dalla paralisi tanto ben illustrata dal romanzo “L’uomo senza qualità” di Robert Musil, una impotenza di fondo che blocca ogni sua possibilità di fare, di costruire e, infine, di vivere.

Questo vuol dire che l’amore non deve essere visto come sentimento puro e semplice. Senza dimostrazione pratica, senza apertura verso l’altro, l’amore resta solo una bella parola.

Cheaib è riuscito nel difficile compito di mettere insieme due dimensioni che per molti sono inconciliabili, l’intelletto e la fede, attraverso un percorso che noi oggi chiameremmo di coerenza cristiana. Il che vuol dire analisi attiva della propria realtà ma soprattutto corrispondenza tra la propria vita e il “comandamento nuovo” del Cristo giovanneo, per confortarci e non giudicarci implacabilmente nel corso di un cammino in cui spesso non sappiamo dove ci troviamo, come scrisse una volta Buber, parlando di un Dio che chiederà all’uomo “fin dove sei arrivato nel tuo mondo?”.