Editoriale

Unsubscribe, il migliore dei mondi

Una commedia affronta in chiave comica il legame ossessivo con la tecnologia, invitando a riflettere sulle conseguenze della nostra dipendenza digitale in un mondo alternativo che fa sorridere e pensare

Se vi capita offrite un’occasione alla commedia Il migliore dei mondi, nuovo film di e con Maccio Capatonda. Non è un capolavoro del cinema, ma fa pensare. Lo stile è meno paradossale e sopra le righe rispetto ai precedenti lavori dell’attore che questa volta, mantenendo l’approccio leggero, affronta il complesso rapporto delle persone con la tecnologia.

Protagonista del film è Ennio Storto, titolare insieme al fratello di un negozio di elettronica. Completamente dipendente da app e dispositivi, non sa guidare senza navigatore e socializza con l’altro sesso solo attraverso Tinder. Prima di ogni appuntamento passa al setaccio i social in cerca di informazioni che gli consentano di sostenere la conversazione e sedurre la malcapitata. Anche la sua vita domestica è completamente automatizzata: alla sveglia, all’avvio della musica, ad alzare la tapparella, alla colazione, provvede l’assistente digitale Alexa. La promozione dell’attività commerciale, ovviamente, la fa registrando video con lo smartphone, da bravo influencer.

La sua vita cambia quando conosce Viola, che vive in un ex ospedale psichiatrico abbandonato, occupato da una sorta di comune refrattaria alla tecnologia. La ragazza gli porta un vecchio modem da riparare e per chissà quale fenomeno Storto si ritrova apparentemente catapultato negli anni ‘90. Un passato non troppo lontano, ma abbastanza da privarlo dei social, dell’iPhone, di tutte le facilitazioni cui era abituato. Ma la realtà è un’altra: tra cabine telefoniche e cellulari analogici, negozi di Blockbuster e auto senza sensori per il parcheggio, Ennio Storto scopre di non aver viaggiato nel tempo, ma di ritrovarsi in un presente alternativo. La digitalizzazione è stata fermata per prudenza dai governi, dopo i disastri causati la notte tra il 1999 e il 2000 dal Millennium bug. Sarebbe quasi una puntata di Black Mirror se non ci fossero le gag di Capatonda e la storia romantica con Viola da sviluppare.

Qualche considerazione sulla modernità e le sue tare la pellicola riesce comunque a provocarla, e non è poco. Ci si accorge, ad esempio, che rovistare nei profili social delle persone rassomiglia alle indagini fatte nella spazzatura cui sono avvezze persone poco raccomandabili, come i maniaci sessuali, i giornalisti e gli agenti dei servizi segreti. La pellicola mostra l’aspetto imbarazzante di azioni che compiamo normalmente, senza avvertire il minimo imbarazzo.

Il non detto è che alla nostra portata c’è sempre una delle cose più liberatorie che si possano fare al giorno d’oggi: l’unsubscribe. Staccare gli abbonamenti, chiudere i profili, zittire le notifiche, cancellare le sottoscrizioni: è tutto a portata di dito. La domanda da farsi è se davvero ne abbiamo la voglia, il bisogno, il coraggio e la convenienza. Ma questo vale per la rete come per ogni rapporto malato, sia esso d’amore, di lavoro, di amicizia, di associazione.