Oggi è il giorno della preghiera, del digiuno e dell’astinenza per la pace in Terra Santa chiesto dal patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa. «Ancora una volta ci ritroviamo nel mezzo di una crisi politica e militare. Tutto sembra parlare di morte. Ma in questo momento di dolore e di sgomento, non vogliamo restare inermi. Sentiamo il bisogno di pregare, di rivolgere il nostro cuore a Dio Padre», scriveva in un messaggio lo scorso 11 ottobre. Da qui l’invito a tutti i fedeli della diocesi patriarcale, che si estende in Israele, Palestina, Giordania e Cipro ad aderire, oggi martedì 17 ottobre, alla Giornata. Un’esortazione raccolta subito dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, che ha rivolto analogo appello alle sue diocesi a ritrovarsi in comunione con quelle del Patriarcato latino «per consegnare a Dio Padre la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione».
Una sollecitazione prontamente raccolta dalla Chiesa di Rieti, che si esprime a livello diocesano con un’adorazione eucaristica di dodici ore nella basilica di Sant’Agostino, aperta alle ore 9 dalla Messa presieduta dal vescovo Vito. Non senza rilanciare l’impegno a vivere con il medesimo spirito la giornata a livello parrocchiale e domestico. Tutti siamo infatti chiamati a un’attenzione, a una conversione alla pace. Perché nel mondo «c’è un’escalation di violenza», ha notato il vescovo, che «noi vorremmo disinnescare, ma probabilmente lo faremmo con altra violenza». Per questo bisogna «chiedere al Dio della pace il dono della guarigione del cuore. Chiediamo al Signore di aiutare chi tiene le redini del potere con il dono dell’intelligenza politica, capace di organizzare per il bene di tutti, dei più piccoli in particolare, le esigenze della giustizia e della pace».
È in questa prospettiva che s’inseriscono il digiuno e l’astinenza. Sono una forma di condivisione, davanti all’Eucaristica, del desiderio che Dio ascolti il «grido dei più piccoli, dei bambini, degli ostaggi», senza che a prevalere sia il desiderio di vendetta. La «mattanza umana» contraddice i desideri di Dio, il sogno di Dio è vedere «il lupo trasformarsi in agnello», è «trasformarci in strumenti di pace, di lavoro, di coabitazione pacifica».
Ma non può riuscire se non purifichiamo il cuore dall’illusione di non essere mai nel torto, se non smettiamo di rincorrere una giustizia farisaica e vuota d’umanità. Se non siamo capaci nel nostro cuore di dare il primato ad un’unica legge, che è l’esigenza della comunione, il superamento della divisione tra un noi e un loro che insegni a vivere sotto lo sguardo di Dio in fraternità con tutti.
«Portiamo in questa giornata, e non solo oggi, la gioia di sentirci uniti con tutte le Chiese che sono in Italia e in Terra Santa. Portiamo anche il dolore per quello che succede nel mondo», ha detto ancora don Vito, mettendo in guardia dal restare chiusi nelle nostre piccole cose, di essere ostacolati da quella miopia del cuore che rende il dolore degli altri un dolore a metà. Costruire la pace, è «vivere quel senso di comunità nella Chiesa, in famiglia, tra gli altri, senza il quale ogni nostra parola, ogni nostro gesto, risulta in pericolo di falsità», ha concluso il vescovo. «Dobbiamo cominciare da noi, tra di noi, nella prima testimonianza che il Signore ci chiede: la comunione, la prova del nove che il nostro culto verso di Lui è autentico e senza ipocrisia».