Siano tutti uguali

Ammortizzatori sociali progressivi e uguali per tutti i lavoratori, rilancio degli investimenti con le risorse raccolte, ma pure attenzione alla dimensione internazionale.

Così Francesco Becchetti, docente di economia politica all’Università di Roma “Tor Vergata”, parlando al SIR descrive la “ricetta” per superare la recessione economica e riprendere a crescere, a partire dall’appello a “ripensare gli ammortizzatori sociali” rivolto ieri a Napoli dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Il Presidente Napolitano, nel discorso di fine anno, ha detto che “i frutti” dell’attuale opera di risanamento del bilancio “non mancheranno”, “specie se l’economia riprenderà a crescere”. A suo avviso, com’è la situazione? Nel prossimo futuro è ipotizzabile la crescita?

La crescita dell’economia non dipende solo dallo Stato, ma pure dalle scelte dei cittadini, degli operatori e delle imprese. Certo, ci sono opere che possono aiutare, come il rilancio degli investimenti sulla banda larga – l’Italia è al 75° posto – nell’accesso alla rete e la velocità di connessione. Poi, stimolare la cosiddetta rivoluzione verde attraverso la promozione delle energie rinnovabili e delle ristrutturazioni edilizie in termini di sostenibilità ambientale. L’intervento sui conti pubblici non ha certo rilanciato la propensione al consumo, e questo non aiuterà il rilancio dell’economia, ma bisogna recuperare risorse laddove possibile e poi usarle per detassare il lavoro. C’è ancora da intervenire, ad esempio sull’evasione fiscale e sugli sprechi – pensiamo alle concessioni per il gioco d’azzardo, per le quali lo Stato ha un credito non riscosso di oltre 50 miliardi di euro –, ma tenendo presente che poi tutto quello che viene recuperato va restituito ai cittadini in termini di potere d’acquisto.

Nella riforma del mercato del lavoro si parla anche di nuove forme di sicurezza sociale, e su questo il Capo dello Stato è intervenuto ieri chiedendo di “ripensare gli ammortizzatori sociali”…

Dobbiamo costruire un percorso con un aumento progressivo delle tutele, semplificando la giungla dei contratti e dando progressivamente più stabilità ai cittadini. La stabilità dei posti di lavoro non si può garantire per editto: c’è se l’economia funziona. Bisogna avere degli ammortizzatori uguali per tutti, che non privilegino chi esce dalle grandi imprese a scapito degli altri, e degli incentivi dinamici che favoriscano il reinserimento nel mercato del lavoro.

Dagli ammortizzatori sociali, poi, sono esclusi tutti i lavoratori che fanno parte del vasto mondo del precariato. Come intervenire per dare anche a loro una tutela?

La semplificazione dei contratti va proprio in questa direzione: sostituire gran parte delle forme contrattuali con un contratto unico a tutela progressiva. D’altra parte, la sicurezza sul lavoro non la dà la forma contrattuale, ma la capacità d’investire e stare sul mercato. Il problema si risolve se il sistema Italia recupera la sua produttività. L’economia tedesca, che ha raggiunto un punto d’accordo negli anni passati tra sindacati e datori di lavoro, ha puntato sulla produttività, adesso sta creando molti posti di lavoro e chi lavora lì è sicuro.

A tal proposito, che ruolo rivestono i sindacati? Sono giorni di “fibrillazione”, mentre Napolitano ha richiamato la loro capacità nel passato di esprimere “slancio costruttivo”. E oggi?

Va riconosciuto che non c’è più un’unità sindacale, con Cisl e Cgil che anche nel recente passato hanno assunto posizioni diverse. Da una parte c’è una maggiore disponibilità ad assumere atteggiamenti nuovi, dall’altra più rigidità. Molto, però, fa parte della trattativa, bisogna vedere a che punto si trova l’accordo finale ed è su questo che va dato il giudizio, non sulla dialettica messa in campo per raggiungerlo.

Ma proprio a fine 2011 i sindacati hanno richiamato il “rischio reale” di tensioni sociali… Come risponde il Paese?

Gli italiani reagiscono positivamente alle difficoltà, e se prima parlavamo di ‘teatrini’, ora c’è stato un salto di qualità nel dibattito pubblico, grazie anche allo stile adottato da questo governo. È vero che bisogna evitare di tirare troppo la corda, ma sinceramente non si può biasimare l’esecutivo per come sta gestendo l’emergenza. Piuttosto, purtroppo non si sta facendo abbastanza su quello che chiamo il ‘secondo’ e ‘terzo’ piano, ovvero le dimensioni europea e mondiale… Questa crisi nasce da squilibri nei mercati finanziari internazionali, e mi pare non si stia facendo granché per superarli.

Non basta, quindi, lo sforzo dell’Italia…

Assolutamente no, il successo dell’Italia dipende in maniera cruciale da come cambiano certe regole sui mercati finanziari e da quanto i Paesi europei si muovono in una certa direzione e ci danno fiducia. Ma non c’è una politica con la ‘P’ maiuscola.

Il Capo dello Stato ha delineato, per l’Italia, l’obiettivo della “rigenerazione della politica e della fiducia nella politica”. Un’utopia o una possibilità?

Il pungolo di questa crisi è stato per l’Italia un’occasione per migliorarci, risolvere alcuni problemi, fare delle riforme, abbandonare cadute di stile che non ci possiamo permettere. Già questo è un successo. Il resto non spetta a noi, ma a istanze sovranazionali.