Salvare il matrimonio con la separazione?

A dispetto delle tante chiacchiere sulla tutela della famiglia, è un dato di fatto che il sistema Italia lavori per garantire migliori condizioni fiscali alle coppie… che “scoppiano”.

In questo periodo dell’anno i commercialisti e i centri di assistenza fiscale sono tutti impegnati nell’aiutare i contribuenti a fare il proprio dovere nei confronti dello Stato. Gli italiani, è cosa nota, hanno un rapporto “conflittuale” con le imposte. Ma che le ragioni del Fisco contrastassero con quelle del cuore non l’avremmo mai sospettato. «Invece – ci ha spiegato sorridendo Andrea Sebastiani, responsabile del Caf Ugl – è proprio così. Le tasse sono all’origine di un buon numero di separazioni».

Va bene la pressione fiscale alta, ma la reazione non è un po’ esagerata?

Va bene, diciamo la tutta: si tratta di separazioni simulate. Qualche anno fa, l’Associazione dei matrimonialisti italiani ha stimato che circa il 5% delle separazioni vengono omologate per ottenere vantaggi fiscali. Si tratta cioè di coppie affiatate che continuano a vivere insieme. Sono tanti infatti, i casi di coniugi che pur non avendo alcuna intenzione né di vivere separati, né di sospendere i doveri matrimoniali, sfruttano la separazione consensuale per mitigare alcune evidenti lacune dell’ordinamento in materia di tutela della famiglia.

Sembra una situazione è paradossale…

Eppure è così. Molte separazioni coniugali consensuali non dipendono dalla crisi del rapporto. È decisiva l’esigenza di ottenere per via indiretta alcune agevolazioni fiscali che le leggi italiane negano alle famiglie fondate sul matrimonio. E soprattutto a quelle più deboli, quelle monoreddito e con prole. Una impostazione sostanzialmente opposta alla cura della famiglia che caratterizza tutti i Paesi più evoluti.

Siamo in leggera controtendenza!

In altri Paesi europei sono stati escogitati diversi meccanismi per abbattere le imposte dirette a carico delle famiglie. E si cerca di favorire quelle numerose. Il “quoziente familiare” usato in Francia è un esempio. Una soluzione tedesca, invece, è quella di suddividere il reddito imponibile individuale a seconda del numero di familiari a carico. Altri Paesi prevedono semplicemente forti deduzioni o detrazioni per le famiglie numerose o monoreddito. In Italia, invece, un capofamiglia monoreddito è sensibilmente penalizzato rispetto ad un “single” o a una famiglia in cui entrambi i coniugi lavorano.

C’è anche il tema della agevolazioni. L’indice Isee fino ad oggi non ha aiutato molto. Non a caso il Governo Letta sta pensando a una sua revisione. Cosa cambierà?

L’Isee (indicatore della situazione economica) è utilizzato da molti enti locali per ripartire i contributi per le mense scolastiche, per le assegnazioni abitative di edilizia popolare, e per varie altre forme di sussidio. Senza scendere troppo nel tecnico possiamo dire che l’Isee non valorizza molto i familiari a carico, finendo di nuovo con l’avvantaggiare la situazione di chi non è sposato o ha pochi figli. Pare che il nuovo Isee verrà differenziato a seconda delle prestazioni richieste e ricalibrato per rappresentare in modo migliore la situazione economica di famiglie numerose o con carichi particolarmente gravosi. Chi vivrà vedrà!

Insomma, in attesa che il legislatore si decida a volere un po’ più bene alle famiglie conviene separarsi?

Beh, spiace dirlo, ma economicamente la cosa ha senso. La separazione “simulata” dal coniuge può consentire diversi vantaggi. Non cambia tanto il reddito complessivo imponibile, ma se si può riesce a farlo figurare, un nucleo monogenitoriale fittizio e a basso reddito è subito ammesso a godere di tutte quelle agevolazioni che invece vengono negate a chi si ritrova con la famiglia a carico. Basti pensare che l’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato è integralmente deducibile. Può capitare che la separazione consensuale possa portare ai coniugi un regime fiscale sensibilmente più conveniente – e probabilmente più equo – di quello previsto con le semplici deduzioni per i familiari a carico.

Ci sono anche vantaggi sulla scala municipale?

Certamente: intanto c’è un riflesso sull’Imu. Se i coniugi sono proprietari al 50% di due immobili, prendendo la residenza separata pagano entrambi per la prima casa e si avvantaggiano di tutte le detrazioni del caso. Anche sul fronte della Tares vale lo stesso discorso. Inoltre, se uno dei due coniugi figura con un reddito molto basso, ha accesso di diritto a tutte le agevolazioni previste per i servizi diretti.

Questa scelta è diffusa anche nella nostra città?

Un po’ per lavoro e un po’ per curiosità mi sono divertito a fare una piccola indagine sull’argomento. A Rieti nel 2012 si  contano 310 separazioni.  Di queste circa 220 sono consensuali, il resto, ovviamente, giudiziali. Ma solo la metà delle separazioni sfocia in un divorzio. Lo scorso anno sono stati 100 quelli a domanda congiunta, e circa 35 quelli giudiziali. Vale a dire che la metà delle separazioni potrebbero essere simulate. Non a caso circa il 25% delle richieste di separazione riportano la stessa residenza per entrambi i coniugi.

Ma chi è che ricorre alla separazione?

La fascia di età nella quale avvengono più separazioni è quella tra i 35 e i 45 anni. Però è interessante notare che anche gli ultrasessantenni si separano. Forse perché hanno un patrimonio finanziario e immobiliare consistente e consolidato e cercano di ridurre su questo l’imposizione fiscale e municipale. Oppure perché il coniuge separato che non ha redditi propri può avanzare domanda di assegno sociale all’Inps.