Rieti non cambia mai

A Rieti sembrano essere tante le persone sull’orlo della delusione. Erano molti, infatti, ad aspettare un cambiamento che invece non sembra arrivare. Nella tornata elettorale dei primi di maggio si cercava una svolta, un salto di qualità, un’inversione di tendenza per la città. Una innovazione che al momento non c’è. Almeno a sentire i discorsi che si fanno nelle piazze, reali e virtuali.

Non che i cittadini si attendessero rivoluzioni in pochi mesi. Però confidavano in un accenno di miglioramento, speravano in piccole cose per calmare l’inquietudine. Non se ne vede traccia.

Forse è solo un problema di percezione. La Giunta in Comune non se ne sta mica con le mani in mano. Lo stato dell’ente, del resto, non glielo permetterebbe. Sono tanti, però, quelli che proprio non riescono a cogliere il segno della discontinuità.

I più delusi si rifugiano negli stereotipi, si consolano semplicemente con l’idea che «Rieti non cambia mai». Una frase fatta che circola sempre più insistente.

Di solito convive con l’ottimistica convinzione che la città può farcela, può ritrovare la via dello sviluppo. Dopo tutto l’acqua, la natura e la montagna a Rieti non mancano. E poi ci sono i santuari, le emergenze archeologiche, le particolarità architettoniche. Il potenziale turistico, agricolo e artigianale sembrerebbe più che adeguato.

Ma la realtà è assai testarda. La città è veramente ferma, quasi bloccata. E l’alternanza in Consiglio comunale risulta effimera, insignificante. Secondo qualcuno si è trattato di un passaggio “gattopardesco”, un «cambiare tutto per non cambiare nulla». Qualcun altro ritiene che ci sia stata addirittura una paradossale svolta a destra!

Pare quasi che, a conti fatti, il consenso elettorale abbia poco a che spartire con i “veri” rapporti di forza in città.

È vero che l’attuale sindaco è di orientamento diametralmente opposto al precedente. Pure il Consiglio e la Giunta sono in gran parte inediti, e con molte facce giovani per di più. Ma gli equilibri che contano, gli interessi determinanti, si direbbero ben saldi al loro posto, forse consolidati, ristrutturati, meglio mascherati.

Rintracciarli non sarebbe difficile: ci vorrebbe però uno sguardo disincantato su dove si concentrino il benessere, il controllo, la rendita.

Si è ingenui nel credere che i centri di potere più elitari e influenti della città siano disposti a concedere una qualche riscossa popolare. Se la città è immobile, senza ricambio, resistente a qualunque alternativa, forse qualcuno se ne avvantaggia.

Magari il coma farmacologico è prodotto ad arte. Indotta al sonno, la città sogna il proprio sviluppo su progetti improbabili, su idee campate in aria, su iniziative strampalate. A taluni servono come fiera della vanità, come luogo di esibizione e per dispensare miserabili favori.

Ma quanto più si rincorre questo nulla, tanto più il sogno si fa incubo. Mentre i soliti noti guadagnano in denaro e controllo, la città continua a sprofondare.

«Il potere – diceva Sciascia – non è nel Consiglio comunale, non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è altrove». Forse esagerava, non lo sappiamo. Nel dubbio è meglio tenere gli occhi aperti, esercitare una qualche sana diffidenza. Specie nei confronti di chi vorrebbe controllare tutto, gestire una “mobilità sociale” pelosa e limitata, lusingare con apparente generosità… gli eterni subalterni.

Speriamo di sbagliare. Forse la nuova amministrazione, dopo l’impatto con la “macchina” del Comune, sta solo prendendo la rincorsa, approfittando della pausa estiva, per lanciarsi verso una autentica svolta… d’autunno.

Caduta qualche foglia, chiusa qualche osteria, avremo dibattiti, incontri, decisioni vere? Potremo metterci del nostro? Attenzione, però, perché si fa presto a metterci… del mostro.