Rieti e il male di vivere

Il fatto di ieri, e quindi di oggi, è una storia di salvataggio. Protagonista è il poliziotto eroe Giancarlo Pacifici. Ha tirato fuori dal Velino una ragazza di diciassette anni. Pare si fosse gettata nel fiume dopo una lite familiare.

L’agente, per altro, non è nuovo a questi gesti di umanità. Pochi anni fa, fu autore di un altro salvataggio in acqua. Una generosità nel servizio che ha portato qualcuno a proporlo per una onorificenza. Al momento il poliziotto ha ricevuto il sentito ringraziamento del sindaco.

Tutto bene, insomma, o quasi. Perché nel parlare – giustamente – dell’eroe, tutti sembrano aver dimenticato la ragazza. Informazioni sul suo stato di salute non mancano, intendiamoci. Ma forse sarebbe il caso di fare un ragionamento un po’ più largo. Se il caso o la Provvidenza non avessero fatto passare da quelle parti la volante della Polizia, oggi avremmo contato il secondo giovane suicida nel giro di una settimana.

Due casi, tentati o riusciti, da aggiungere a quelli registrati negli ultimi anni.

Non abbiamo dati statistici, non sappiamo se a Rieti i suicidi di ragazzi sono più frequenti che altrove. E tutto sommato non ci interessa. Ogni storia merita rispetto e silenzio, ma la città sembra essere permeata da una sorta di male di vivere. Sarà che i ragazzi sono sempre più fragili, o che i giovani adulti faticano a trovare un equilibrio di vita. Difficile a dirsi.

Ma insieme all’applauso all’eroe cominciamo a rifletterci sopra. Qualcuno dirà che è solo il destino, ma è possibile? È davvero normale ritrovarsi senza ragioni per vivere nel fiore della giovinezza? O piuttosto, da qualche parte, qualcosa s’è inceppato?

Forse conviene domandarsi dove sia quest’anello che non tiene. Se va cercato nella città o nel nostro stile di vita più in generale. Il tema è urgente: non ci si può sempre affidare alla fortuna.