Reatini sul tetto del mondo

Sono tornati la scorsa settimana dalla spedizione sulle montagne dell’Himalaya Orientale dopo ventuno giorni trascorsi a pochi passi dal tetto del mondo. Al trekking di alta quota organizzato dalle sezioni CAI di Montecchio Maggiore e Rieti, hanno preso parte anche i tre soci reatini Fabio Desideri, presidente del Gruppo Regionale Lazio del CAI, Riccardo Seri, che aveva già partecipato ad altri trekking extraeuropei e il medico di Pronto Soccorso Antonello Venga, anche lui protagonista di altri appassionanti trekking in alta quota. È Fabio Desideri a raccontare quest’esperienza appena conclusa.

Fabio innanzitutto le prime impressioni.

I luoghi sono bellissimi. Il Sikkim – una lingua microscopica nel nord est dell’India tra il Nepal, il Tibet ed il Bhutan – è un mondo a parte, un paradiso, ancor più evidente se confrontato con le cittadine sovraffollate, caotiche che abbiamo visitato. Una regione che, più che indiana, definirei tibeto-himalaiana. Nonostante il caos delle città non abbiamo mai notato una situazione di pericolo, di allarme, nessun problema di sicurezza. Quello che abbiamo attraversato è uno Stato che ha investito e sta continuando ad investire sulla scuola (almeno così sembra all’apparenza). Siamo stati pochi giorni nei paesi, nei villaggi ed è una mia impressione. È accaduta anche una cosa strana: gli autoctoni mi guardavano con il mio sigaro in mano come se fossi un marziano. Solo in un secondo momento ho capito: non hanno mai visto nessuno fumare in pubblico, perché portano avanti una fortissima lotta contro il fumo.

Racconti brevemente il viaggio ed i momenti più importanti?

Il viaggio è stato molto lungo. Non mi è pesato perché sono un viaggiatore dentro. Basta che sono in movimento e tutto mi pesa di meno. Partiti con l’aereo da Milano il 14 ottobre, dopo un breve scalo a Doha (Qatar), siamo arrivati a Calcutta il 15 ottobre e lì abbiamo trascorso due giorni, poi volo interno verso nord a Bagdogra e tre ore in jeep fino a Darjeeling, la patria del thé, in una delle più belle “colline” a 2200 metri e fantastici edifici in stile coloniale. Poi, il primo contatto visivo con il maestoso Kanchenzonga. Dopo due giorni siamo partiti alla volta del Sikkim e dopo 10 ore di Jeep siamo arrivati a Yuksom l’ultimo villaggio raggiungibile in auto, prima della foresta. Il giorno successivo abbiamo iniziato il trekking. Al ritorno abbiamo testato un’altro mezzo di trasporto, il treno, da Siliguri a Calcutta. Ci ha permesso di vedere ed ammirare i paesaggi, la maggior parte risaie, del West Bengal. Sicuramente uno dei momenti più toccanti di tutto il viaggio è stata la visita ai monasteri buddisti, anche se, altrettanto affascinante ed emozionante, è stata la visita al monastero induista di Calcutta. Lì abbiamo assistito ad una cerimonia molto importante per la famosa festa delle luci che si celebra il 3 novembre.

Come è stata la vita con i tuoi compagni di viaggio?

Nelle situazioni estreme viene fuori in maniera ancora più evidente il carattere delle persone. Molto spesso sono stato raccolto in me, nei miei silenzi, nelle mie lunghe pause. Il gruppo, dopo un brevissimo tempo di “ambientamento”, si è subito amalgamato. Non c’è stato mai un problema di attrito, una discussione.

Avete attraversato luoghi e paesaggi molto diversi tra loro…

Siamo passati dal grigiore di Calcutta, al verde intenso del Sikkim, al bianco accecante del Kanchenzonga. Calcutta è una città dai mille volti: caos continuo, non c’è un vicolo che non sia pieno di gente, persone in continuo movimento che non si capisce dove vadano, un mercato continuo su ogni via, fortissimi odori derivati spesso dalla cucina in strada. Certo non abbiamo avuto il tempo di visitare tutta la città, ma un’idea ce l’abbiamo fatta. Poi il Sikkim, terra miscela omogenea di razze, culture, costumi e religioni con la comunità predominante dei lepchas (primi abitanti del Sikkim), tibetani, nepalesi, lavoratori migrati da diversi paesi impiegati nella costruzione di strade, ponti ed edifici. Una terra meravigliosa circondata da cime innevate, vegetazione tropicale, colline, vallate, infiniti corsi d’acqua e cascate. Tutto magnificamente osservato attraverso il nostro trekking. In pochissimi giorni siamo passati dal caldo sub tropicale al freddo delle pendici montuose.

Ricorda quale era lo scopo di questo viaggio.

Scopo del viaggio era testare l’equipe di supporto come cuoco, portatori, guide, esplorare da vicino la zona dove poi poter installare il campo base per la spedizione di marzo 2014, effettuare dei rilievi fotografici delle eventuali vie di salita alla cima sud del Kanchenzona (8540m), capire eventuali criticità. Ecco, la più grossa problematica che abbiamo riscontrato è la comunicazione. Siamo stati otto giorni senza poter comunicare: nel Sikkim è vietato l’uso dei telefoni satellitari (strumento fondamentale per una spedizione). Questo, se non risolto “politicamente”, sarà un vincolo determinante alla fattibilità della stessa spedizione. Questo trekking è stato quindi fondamentale per analizzare e risolvere dall’Italia tutte le criticità.

Cosa ti sei riportato a casa?

All’interno della spedizione c’è stato il viaggio in uno dei paesi più contrastanti del mondo, l’India: il fascino dei suoi colori, i forti odori, i tanti bambini e le genti spesso sorridenti, ma tanta povertà. Non so se ancora sto vivendo di “luce riflessa”, ma mi sento ancora lì. Mi ha rimesso con i piedi per terra, tanti dei nostri problemi, lì sono polvere. Ha ridimensionato tutto, magari tra un po’ ritornerò ad essere avvolto dalle problematiche consuete. Comunque per ora mi sento molto tranquillo e rilassato.

La vostra avventura è stata seguita da moltissimi reatini anche su Facebook. Abbiamo anche letto dell’intervento di Venga che ha salvato un portatore. Cosa è accaduto?

Un paio d’ore dopo aver iniziato il trekking, abbiamo notato che un portatore era fermo, accovacciato sul ciglio del sentiero e tremolante. Il dottor Venga gli ha somministrato un antinfiammatorio visto avevamo con noi diverse scorte di farmaci. Alla sosta pranzo il portatore stava meglio, si è addormentato su una roccia piana, ma nella serata è peggiorato di nuovo, così Venga gli ha misurato la pressione riscontrando che era alta. Dopo avergli somministrato un diuretico ha consigliando di farlo riscendere a valle. In pratica gli ha salvato la vita accorgendosi che soffriva di ipertensione.

Fabio come si svolgeva una vostra giornata tipo?

Sveglia alle 6 con il thé servito da due ragazzi, uno 15 e uno 12 anni facenti parte del gruppo di supporto, poi colazione alle 7 e partenza alle 7:30. Alle 11:30 pranzo leggero, tra le 12 e le 13 fine del trekk. Relax al campo con attività di fotografia, raccolta delle idee e conversazione. Alle 15:30 thé con biscotti, quando faceva freddo nella tenda dentro al sacco a pelo aspettando la cena che si consumava in una tenda comune sempre alle 18:30. Alle 19:30 venivamo sfrattati dai portatori, la tenda comune era la nostra sala cena e la loro tenda per dormire, quindi massimo alle 20 a letto ognuno nella sua tenda.

È stato faticoso?

Il trekking di per sé non è stato faticoso, con brevi tratti e buoni dislivelli per acclimatarci al meglio. Più faticoso è stato riempire il resto della giornata, visto che la maggior parte dei giorni, massimo alle 13 avevamo finito di camminare. E poi c’è lo spirito di adattamento alla vita di campo, anche se, chi più, chi meno, lo avevamo già provato tutti.

Avete avuto come guida l’alpinista indiano Anindya Mukherjee, considerato un grande esperto di quelle vette.

Una bella persona, molto disponibile e affidabile. Per lui era la prima esperienza con un gruppo italiano, ma dopo pochi giorni era uno di noi. L’ultimo giorno ci ha accolto a casa sua, con tutta la sua famiglia e sua moglie ci ha preparato una cena tipica. All’aeroporto, salutandoci si è commosso, una gran bella persona. E, come lui, anche tutto il suo entourage è stato all’altezza, disponibili, sorridenti e gioiosi.

Un piccolo gruppo di persone, un mondo meraviglioso intorno, la montagna, il silenzio. Cosa si pensa, o almeno, cosa hai pensato tu, durante le arrampicate?

Sinceramente questa è un’altra delle cose che mi ha meravigliato. Nei momenti di pausa, tanti, al campo, mi raccoglievo da una parte, su una roccia, su di un prato, ma non riuscivo a pensare a nulla, niente, mente vuota, se proprio dovevo pensare a qualcosa, mi dovevo concentrare e sforzare. Una bella sensazione.

Avete raccolto dati per la spedizione che partirà a marzo 2014, che materiale avete portato?

È stata fatta una relazione dal nostro responsabile del trekking, Franco Brunello, 74 anni con 20 spedizioni alle spalle. Il materiale riportato è stato per la maggior parte fotografico.

Prossima avventura per Fabio Desideri?

Non ho progetti particolari. La prossima avventura sarà la ricerca di un lavoro.