Più nera della fine del mondo?

La situazione è critica, forse abbiamo già passato il punto di non ritorno. Forse è un bene.

In queste ultime settimane gli schermi televisivi si sono riempiti di una lunga sequenza di proteste variamente derivate dalla crisi economica e dai tentativi del Governo di porvi rimedio. Agricoltori, pescatori, autotrasportatori, benzinai, farmacisti, tassisti hanno riportato l’attenzione di tutti sull’economia reale. Tutte persone in carne e ossa che, a dispetto dei numeri e delle linee di tendenza lavorano (o provano a farlo) immerse in circostanze poco favorevoli.

Sono tare note a tutti: eccesso del debito dello Stato, politiche esageratamente liberiste, una moneta sempre più incomprensibile e aliena. Qualcuno aggiunge la globalizzazione e non ha torto (anche se è un po’ sul generico) e le banche, dal braccio sempre più corto.

Comunque sia, il panorama locale, discesa in piazza esclusa, è perfettamente coerente con l’andamento generale del Paese. Forse anche troppo. L’aderenza alle tendenze peggiori di questi anni è addirittura imbarazzante. L’elenco delle situazioni di sofferenza si allunga ogni mattina: industria, magazzini, grande distribuzione, commercio; gli strilloni delle edicole paiono messi lì apposta per dire «sotto a chi tocca».

Guardare alla politica locale in cerca di risposte è stucchevole più che inutile. Nel vuoto di idee e di intenti in cui si aggira, l’unica risposta che pare in grado di dare è un’eco fiacca e inconcludente. I meno peggio riescono tutt’al più a immaginare una città meglio pulita e amministrata. Confondono l’essere cittadino o lavoratore con l’essere utente o stipendiato. È un po’ poco a dire il vero, ma almeno ci provano e stanno pure imparando a non far mancare la propria solidarietà a nessuno.

Il Governo nazionale, invece, più che inutile sembrerebbe dannoso. Pare tutto sommato disinteressato alla vita reale delle persone. Viene da pensare che alla classe dei tecnocrati stia piuttosto a cuore la realizzazione del meccanismo grigio e stritolatore del loro vangelo dell’efficienza. Ad imparare l’arte di governare dai Monti e dai Passera, ci si convincerebbe presto che guidare un Paese significhi solo occuparsi di debiti, crediti e imperativi tedeschi. Che esistono i cittadini e che certe scelte le digeriscano a fatica lo stanno scoprendo giusto ora, e non sembra che la cosa li scuota gran che.

In fondo pare che tutto sia immerso in una quieta disperazione. Fosse vero, varrebbe la pena di cominciare a desiderarla la recessione, più che combatterla. Potremmo riscoprirci valori, dimensioni e sensatezze.

Pier Paolo Pasolini, visionario e profetico, ne cantava l’opportunità in versi belli e semplici:

«Rivedremo calzoni coi rattoppi, rossi tramonti sui borghi vuoti di macchine, pieni di povera gente che sarà tornata da Torino o dalla Germania. I vecchi saranno padroni dei loro muretti come poltrone di senatori e i bambini sapranno che la minestra è poca e che cosa significa un pezzo di pane.

E forse, qualche giovane, tra quei pochi tornati al nido tirerà fuori un mandolino.

E città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi, con i vestiti grigi e dentro gli occhi una domanda che non è di soldi, ma è solo d’amore, soltanto d’amore.

Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde, nella curva di un fiume, nel cuore di un vecchio bosco di querce, crolleranno un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera.

E gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra soli e chiusi, com’erano una volta.

E la sera sarà più nera della fine del mondo e di notte sentiremmo i grilli o i tuoni.

L’aria saprà di stracci bagnati, tutto sarà lontano, treni e corriere passeranno ogni tanto, come in un sogno. I banditi avranno il viso di una volta, con i capelli corti sul collo e gli occhi di loro madre pieni del nero delle notti di luna e saranno armati solo di un coltello.

Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra leggero come una farfalla e ricorderà ciò che è stato in silenzio il mondo e ciò che sarà».

Sono versi cui ha dato voce Alice, con un risultato di rara intensità.