Nella cappella Cerasi l’incontro dei santi con la luce salvifica della croce
Nell’arte sono numerose le rappresentazioni che ricordano l’incontro, avvenuto a Roma, dei santi Pietro e Paolo. Sono soprattutto le icone a tramandare l’abbraccio dei due apostoli: figure ieratiche su uno sfondo aureo che annullava tempo e luogo, rimandando all’eterno presente. Era la Roma caput mundi, quella dell’Impero romano, la città di Nerone, colui che perseguitò i cristiani e sotto il quale proprio i due apostoli furono martirizzati. Da quel momento in poi la città eterna cambierà la sua storia e da sede dell’imperatore diverrà sede della cattedra di Pietro e dei suoi successori.
Nel XVII secolo l’Urbe è il centro della cristianità: con i Papi e con i Cardinali, Clemente VIII, Filippo Neri e Cesare Baronio. Il fervente clima culturale post concilio di Trento, la munificenza della dignità ecclesiastica e della nobiltà capitolina attiravano i migliori artisti che impegnavano il proprio talento nella realizzazione di splendidi capolavori. In quegli anni era presente nella città uno dei più grandi artisti di tutti i tempi, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Nelle sue tele, dense di umanità, i personaggi del popolo assumevano connotazioni di santi e martiri ed il messaggio salvifico del Cristo era trasmesso attraverso i volti degli umili e degli emarginati.
Nel 1600 il cardinale Tiberio Cerasi, tesoriere del Papa, per arricchire i laterali della sua Cappella in Santa Maria del Popolo commissionò al Caravaggio (che nel contratto viene definito “egregius in Urbe pictor”), due tele raffiguranti i santi Pietro e Paolo. I quadri in questione sono ben noti, si tratta della Crocefissione di san Pietro e della Conversione di san Paolo. Sappiamo che il Merisi aveva una certa ‘libertà’ nell’interpretazione dei temi religiosi, e grazie alla formazione milanese sotto l’impulso del cardinale Borromeo, era consapevole delle implicazioni dottrinali che le immagini avevano verso coloro che le osservavano.
Nel realizzare la Crocefissione di san Pietro, l’artista non si discosta dalla traditio, che si fonda sugli scritti di Origene riportati da Eusebio di Cesarea e da san Girolamo, secondo cui l’apostolo venne appeso alla croce a testa in giù quale segno di umiltà nei confronti del Signore. Ma diversa è la chiave rappresentativa: San Pietro non è l’apostolo eroico ma un vecchio dal volto rugoso, dalla folta barba bianca e dal fisico ancora forte, il quale sembra cercare con lo sguardo il conforto estremo di qualcuno.
Gli sgherri non sono terribili aguzzini o bramosi carnefici, ma poveri operai costretti ad un faticoso lavoro, come il primo personaggio che fa leva col suo corpo per alzare la croce. Tutta la scena è avvolta da un senso di drammatico realismo: l’atmosfera è buia, così come brune sono le rocce dove sta per compiersi il martirio; solo una luce radente illumina il santo, è la presenta della Grazia divina, salvifica e vivificatrice del Cristo.
Per la Conversione di san Paolo, l’artista opera una “variazione storica” rispetto al racconto degli Atti degli apostoli, usando i testi degli Annales e del Martyrologium di Cesare Baronio.
L’apostolo delle genti non è folgorato sulla via di Damasco, bensì all’interno di una stalla semibuia. Domina la presenza reale e possente del cavallo, e mentre l’animale alza una zampa, come a voler scalciare, un personaggio in penombra lo trattiene per il morso e sembra non accorgersi di quanto accade. Saul è a terra con gli occhi chiusi abbagliato dalla luce che proviene dall’alto, ha le braccia aperte quasi a simulare la croce mentre a breve distanza giace la spada in segno di resa.
Conosciamo bene il significato che la dinamica tra luce e ombra ha nelle opere del Caravaggio: la luce rappresenta la salvezza e la grazia che irradia solo colui che il Signore sceglie; l’ombra rappresenta il peccato.
Nella cappella Cerasi assistiamo quindi all’incontro di san Pietro e san Paolo con la luce salvifica della croce: alla croce di legno di Pietro si contrappone, come immagine speculare, la croce delle braccia di Paolo; e così al “Quo vadis, Domine?” si contrappone il “Qui es, Domine?”.