Dio è natura? Tra sì e no

La risposte di Harold J. Morowitz nel suo saggio “La nascita di ogni cosa”

“La nostra panoramica sulle emergenze ci ha dimostrato che lo sviluppo dell’universo non è stato totalmente deterministico, ma neppure del tutto casuale. La verità deve trovarsi nel mezzo. La questione non può essere risolta in modo semplicistico: il mondo è molto più complicato di quanto pensavano i primi filosofi”.

Le emergenze cui si riferisce lo scienziato e filosofo Harold J. Morowitz nel suo “La nascita di ogni cosa” (Lindau, 324 pagine) sono delle “novità” che impongono cambiamenti inattesi a stati fisici o chimici precedenti. Come lo stesso autore precisa, questo libro non è meramente scientifico, ma è “più un trattato filosofico”, ed è per questo che lo sottoponiamo all’attenzione dei lettori; dietro cifre, equazioni, formule, tabelle che lo appesantiscono, esso nasconde un preciso messaggio: quelle “emergenze” dimostrano che non è vero che l’universo è un’accozzaglia di elementi senza alcun ordine. Ma, sostiene l’autore, non è neanche vero che dietro l’ordine dell’universo si trovi un dio persona e trascendente. Già immaginiamo le reazioni dei lettori che hanno una qualche familiarità con la filosofia o la teologia, e immaginiamo anche la parola che sarà loro venuta in mente: panteismo. Ed è così.

Quello che siamo abituati ad attribuire a Spinoza e a Bruno, la convinzione che Dio sia la natura, è oggi esposto in questo libro. Morowitz è oltre il materialismo deterministico che non attribuisce nessun inizio e nessun fine alla materia, ma si pone prima di una concezione personalistica della divinità. Per tentare di motivare le sue convinzioni, l’autore si serve di due appoggi: quello scientifico, che mostra una continua e “intelligente” emergenza di fatti nuovi, che non sarebbero comprensibili in un cosmo-caos, e quello filosofico. Soprattutto su quest’ultimo dovremo ragionare un attimo, perché le cose non stanno esattamente così.

Morowitz presenta a pagina 312 una tabella, e già questo di per sé non rende un servigio alla complessità del discorso, di “scienziati in polemica con la religione”. Sono, in ordine cronologico, Copernico, Bruno, Keplero, Galilei, Cartesio, Spinoza. Ora per Spinoza e Cartesio, ma anche per Bruno, l’appellativo di scienziato non è esattamente calzante: sono stati dei pensatori che hanno affrontato le grandi domande che pone l’esistenza. Non solo, ma se vogliamo essere un po’ più precisi, essere “in polemica” (termine non adatto a chiarire la complessità della loro posizione) con la Chiesa non vuol dire essere iscritti tout-court al partito dei panteisti, anche perché esso non è monolitico, ma ha al suo interno correnti e sotto-correnti. Galileo ha avuto a che fare con l’inquisizione per motivi lontani dal panteismo, e non ha mai messo in dubbio il principio di un Dio creatore, così come molti di quelli citati. Ma anche lo stesso Giordano Bruno avrebbe dovuto essere affrontato più a fondo. Per esempio “Gli eroici furori”, dove arde un “fuoco” che “è l’ardente desio de le cose divine”. Quest’opera è posta da autorevoli studiosi in stretta relazione di dipendenza con il Cantico dei Cantici, ed è straordinariamente prossima al pensiero di alcuni mistici del tardo medioevo, un pensiero “apofatico”, assai diverso dalla concezione panteistica, perché procede per negazioni, in quanto Dio non è dicibile con paragoni materiali, che lo limiterebbero.

“Noi, Homo sapiens, rappresentiamo la trascendenza del Dio immanente”, è la conclusione del libro. Abbiamo però visto che le cose stanno diversamente e che la presenza di un Dio che è oltre la sua creatura e irrompe misteriosamente in essa violando alcune leggi fisiche non è una contraddizione in termini. È semplicemente oltre. Anche perché, a voler passare al campo scientifico, Il Principio di Indeterminazione di Heisenberg ci ha mostrato quanto sia difficile teorizzare su ciò che non possiamo conoscere completamente, perché siamo parte del mondo che pretendiamo di giudicare oggettivamente.