Nigeria: contro la tratta delle donne la Chiesa punta sulla prevenzione

La maggior parte delle donne nigeriane vittime di tratta e costrette a prostituirsi arriva da un unico luogo: lo Stato di Edo, nel Sud della Nigeria. Qui, già nel 2005, un’indagine di un’organizzazione locale aveva calcolato che una giovane su tre era stata avvicinata almeno una volta dai trafficanti di esseri umani. L’impegno della Chiesa per contrastare la tratta.

Finiscono sfruttate, sulle strade di molti Paesi europei: soprattutto Italia e Spagna, ma anche Francia, Gran Bretagna e Olanda. La maggior parte delle donne nigeriane vittime di tratta e costrette a prostituirsi, però, arriva da un unico luogo: lo Stato di Edo, nel Sud della nazione africana. Qui, già nel 2005, un’indagine di un’organizzazione locale aveva calcolato che una giovane su tre era stata avvicinata almeno una volta dai trafficanti di esseri umani.

Povertà, discriminazione sociale, disoccupazione, persino la pressione delle famiglie per un viaggio visto come l’anticamera della ricchezza, hanno spinto molte ad accettare di raggiungere l’Europa dopo che gli sfruttatori avevano promesso loro un lavoro. Impossibile dire con precisione quante, ma secondo i dati diffusi nel 2014 dall’Onu sono nigeriane almeno il 10% delle donne vittime di tratta in Europa occidentale e centrale.

Prevenzione al centro. “Non sempre queste persone ignorano cosa faranno, alcune conoscono forse la realtà della prostituzione in Nigeria, ma non si rendono conto della portata del meccanismo di sfruttamento in cui entreranno a far parte, del debito che contrarranno con l’organizzazione criminale, del trauma che questa vita rappresenta: è quando realizzano tutto questo che chiedono aiuto, se mai lo fanno”, racconta Onomen Oriakhi, responsabile del programma contro il traffico di esseri umani della Caritas nigeriana. Oriakhi è avvocato e ha cominciato ad occuparsi del tema dopo aver collaborato ad altre iniziative ecclesiali in favore delle donne. Il suo ufficio è a Benin City, capoluogo dello Stato di Edo, e si occupa di coordinare tutte le realtà e le iniziative in cui la Chiesa cattolica ha un ruolo: il Comitato di sostegno alla dignità delle donne (Cosudow) creato dalla conferenza delle leader religiose nigeriane, le case rifugio per le vittime, i sacerdoti che nelle parrocchie affrontano il tema nelle loro omelie, gli incontri sul territorio a cui Onomen stessa partecipa. Iniziative che hanno in comune un elemento: tentare di prevenire il fenomeno.

“È difficile far tornare queste ragazze al punto in cui erano prima di partire, hanno vissuto una vita difficilissima ed è l’unica che conoscono – spiega la responsabile di Caritas -. Ritrovare un posto per loro nella società è molto complicato; in più vanno seguite dal punto di vista psicologico per tutta la vita, non solo per un anno o due, quindi è meglio agire prima che le cose accadano”.

Indispensabile collaborare. Due, in particolare, sono i settori in cui la Chiesa cerca di intervenire: l’economia locale e la sensibilizzazione. “Bisogna migliorare le condizioni materiali delle famiglie ed educare ai diritti, in modo che le donne si rendano conto di qual è il loro posto nella società e possano resistere a chi abusa della loro dignità”, chiarisce Oriakhi. Se il primo punto viene portato avanti soprattutto attraverso programmi di microcredito e di sostegno alle famiglie più vulnerabili, il secondo ha varie dimensioni. La più importante, a medio termine, è la promozione della formazione di bambini e giovani, non solo attraverso la scuola.

“Prevenzione significa anche tentare di educare le persone a non celebrare la ricchezza – continua infatti l’avvocato -. Uno dei problemi che devono affrontare le ragazze sfuggite alla tratta è proprio quello della differenza tra i sogni e la realtà: avevano immaginato di potersi arricchire rapidamente, ma ora sono di nuovo in Nigeria e devono ripartire da zero”.

Quest’ultimo tentativo spesso si scontra con l’ostilità della società e delle stesse famiglie d’origine, che a loro volta associano all’Europa l’idea della “ricchezza facile”. Contro questa emarginazione sarebbe possibile agire anche fuori dal Paese africano, secondo la responsabile della Caritas: “Rapporti più stretti con le autorità europee potrebbero aiutare a cambiare la situazione per le ragazze che avevano immaginato un futuro migliore e l’hanno visto andare in pezzi”, dice. “Una volta rimandate in Nigeria rischiano anche di essere di nuovo vittime dei trafficanti – continua -. Bisognerebbe definire un modo di far rimanere in Europa in maniera legale chi non vuole tornare”, anche per timore delle reazioni dei criminali. Di frequente, infatti, questi usano come ulteriore strumento di coercizione rituali tradizionali (juju), di cui la vittima teme le conseguenze negative nel caso non paghi il debito contratto con l’organizzazione o denunci i suoi sfruttatori.