Mons. Pompili: «La Chiesa fa notizia oltre i pregiudizi»

Mercoledì 29 luglio, a Lerici, in occasione della quarantesima edizione della festa di «Avvenire», è stato consegnato a monsignor Domenico Pompili, vescovo eletto di Rieti e già direttore dell’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei, il premio giornalistico intitolato ad “Angelo Narducci”, storico direttore di «Avvenire».

A consegnare il riconoscimento insieme al direttore di «Avvenire», Marco Tarquinio, il vescovo di La Spezia-Sarzana-Brugnato, monsignor Luigi Ernesto Palletti, che non ha mancato di ricordare le doti di grande comunicatore del pastore atteso dai fedeli della città Centro d’Italia.

E per l’occasione monsignor Pompili ha tratteggiato il bilancio dei suoi otto anni di direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Cei, durante i quali ha preso forma una sorta di rivoluzione dei media, con l’ingresso della dimensione “social” nei diversi aspetti della comunicazione.

«Già nel 2010, in occasione del convegno “Testimoni digitali”, ci eravamo interrogati sul ruolo che i social network, Facebook in testa, cominciavano a rivestire» ha ricordato Pompili. «Oggi, a distanza di tempo, è sempre più evidente che l’avvento del digitale ha restituito a ciascuno di noi il diritto di parola, sia pure con i rischi e le ambiguità che conosciamo. Quel che conta, però, è che si è creato un ambiente di ascolto e di confronto al quale la Chiesa non può sottrarsi. Prossimità, amicizia e autorevolezza sono, nella loro essenza, bisogni profondamente umani, che nel contesto attuale trovano un’inedita forma di espressione».

Una Chiesa più capace di comunicare – ha rilevato Alessandro Zaccuri sul quotidiano della Cei – per monsignor Pompili è anche una Chiesa più attenta a valorizzare le caratteristiche del genio femminile: «Direi che si può distinguere tra una modalità “maschile” di comunicazione, per la quale l’efficacia del messaggio sta tutta nell’esattezza del contenuto, e una modalità “femminile”, che invece investe di più sulle dinamiche dell’accoglienza e della relazione» ha spiegato il vescovo eletto.

«Personalmente – ha aggiunto – trovo molto illuminante la suddivisione istituita da una grande pensatrice come Hannah Arendt, per la quale nell’esperienza umana si intrecciano tre diversi aspetti, vale a dire il lavoro (che è esecuzione di un compito), l’opera (che è un’attività più raffinata) e l’azione (che chiama in causa la dimensione personale). Se ripenso agli anni trascorsi nell’ambito della comunicazione, mi pare di poter affermare che il lavoro consiste nell’incontro con gli altri, l’opera si realizza nella necessità di studio e riflessione, mentre l’azione comporta, da ultimo, l’onere della decisione. Quando si decide, sbagliare è sempre possibile, non lo nego, ma anche questo fa parte della nostra umanità».

Un problema aperto rimane quello di far intendere la voce della Chiesa al di là di schemi precostituiti e pregiudizi: quelli «più ricorrenti – spiega Pompili – riguardano la politicizzazione e lo scandalismo, ma non bisogna nascondersi che in Italia la Chiesa, per fortuna, continua a fare notizia. In futuro, forse, il sistema informativo della Cei potrebbe agire con un coordinamento ancora più strutturato. Molto si è fatto in questi anni, molto si può ancora fare».