Mensa Santa Chiara: Crisi superata, ma il futuro è da scrivere

Dal 17 giugno avrebbe potuto fornire solamente panini e frutta per mancanza di fondi, ma in soccorso della Mensa di Santa Chiara si è subito messa in moto una rete di solidarietà cittadina.

In una città che troppo spesso si presenta divisa, egoista e individualista, fa piacere cogliere episodi di impegno e condivisione. Il più recente è il caso del movimento suscitato dall’annuncio di crisi della Mensa di Santa Chiara. In tanti si sono dati da fare, e l’iniziativa promossa dall’Ordine Francescano Secolare di Fonte Colombo in una piccola stanza del monastero delle Clarisse di Santa Chiara è riuscita a riprendere in poco tempo il filo della propria missione. La struttura ospita tra le 50 e le 70 persone al giorno, tutti i giorni dell’anno, dal lunedì al sabato dalle 18.30 e la domenica e festivi dalle 12.30. E i circa 100 volontari aiutano sessanta famiglie bisognose portando i pasti a domicilio. Il prolungarsi dello stallo o una eventuale chiusura avrebbero dunque rappresentato un problema di non poco conto.

«Per fortuna la raccolta è andata benissimo – ci spiega la responsabile Stefania Ballonila città ha risposto con generosità. Hanno contribuito i cittadini, ma anche qualche club come i Lions o come la Npc Basket. Rieti può essere orgogliosa dei suoi abitanti. Specialmente in questo periodo nero, in cui l’economia non è un granché. Vuol dire che San Francesco non è passato in vano».

I cittadini hanno reagito con prontezza, e le istituzioni?

Come annunciato, la Fondazione Varrone ha fatto arrivare un bonifico pochi giorni fa. Quanto alla sponda pubblica, la notizia è che sono stati sbloccati anche dei fondi regionali. Come sempre accade in queste faccende ci vorranno i tempi tecnici, legati alla burocrazia, per portare a casa il risultato. Da parte nostra cercheremo di tenere acceso un faro su questa nostra realtà.

A questo proposito, in questi giorni mi sono domandato se lo stile “silenzioso” della mensa non abbia a che fare con la crisi appena superata. Il dubbio è che una qualche mancanza di visibilità e clamore abbia agevolato una sorta di distrazione da parte del mondo esterno.

Sicuramente è accaduto anche questo. Però il nostro stile è quello di lavorare nell’invisibilità. I nostri utente non amano di certo i clamori. E noi diventiamo una cosa sola con loro. Noi accettiamo tutti, non chiediamo documenti, confidando nell’aiuto degli altri. La mensa è aperta da quattrordici anni: abbiamo sempre servito le persone in difficoltà. Quello che abbiamo attraversato è un momento di negligenza, di dimenticanza da parte delle istituzioni. Per le quali però siamo in qualche modo diventati anche un rifugio: in un momento in cui nel bilancio del Comune ci sono voragini e l’assessorato alle politiche sociali non può più aiutare come un tempo, finiamo con lo svolgere una sorta di supplenza. Una mensa dei poveri il Comune la dovrebbe comunque avere. In questi anni è aumentata l’utenza, ma abbiamo continuato a lavorare nel silenzio. E vogliamo continuare a farlo: è l’indicazione evangelica. La carità non bisogna mostrarla. In alternativa c’è il rischio di cadere nel qualunquismo. Il nostro non è uno sforzo: è quello che sentiamo nel cuore.

Il che non toglie che occorrano i mezzi…

Sì, ma noi siamo anche tremendamente accorti. Nelle cucine lavorano madri e padri di famiglia: ragioniamo in economia come facciamo a casa. E quando chiediamo aiuto occorre ricordare che i problemi delle persone che aiutiamo, che hanno bisogno, ci riguardano tutti, sono della città. Noi ci mettiamo al servizio, ma è bello che ognuno metta un pezzettino. Fino a quando abbiamo potuto ci siamo autofinanziati. Oggi i numeri non ce lo permettono più.

La mensa delle origini era quasi un esperimento!

Io mi auguro che sia ancora un esperimento. Saremo idealisti, ma la nostra speranza è che ad un certo punto di noi non ci sia più bisogno. Allora faremo altro. Ma guardando al presente siamo ad un tam tam continuo di richieste di aiuto, alle quali occorre rispondere.

Allora viene da chiedersi se superata l’emergenza la mensa possa guardare al medio termine in una prospettiva di stabilità.

Il punto è che c’è bisogno di continuità. Se non c’è continuità è ovvio che fra tre mesi ci ritroviamo come una settimana fa. Adesso abbiamo le dispense piene di ogni ben di Dio e se faremo un’altra raccolta alimentare sono sicura che la risposta delle persone ci sarà. Ma a breve la spesa settimanale bisognerà comunque farla. Per noi i soldi non sono una priorità, ma ci sono situazioni cui si può rispondere solo con un minimo di liquidità, come nei casi di emergenza abitativa. Sono situazioni diversificate ci arrivano sempre più di frequente proprio a causa della crisi delle istituzioni. Ma se fosse possibile noi eviteremmo qualunque passaggio di denaro: in fondo ciò che ci interessa nella mensa è la relazione con le persone più che la somministrazione del pasto. Abbiamo sempre puntato su questo.