Il Natale è una delle festività più attese dell’anno, un momento di condivisione e riflessione. Tra le tradizioni natalizie più popolari ed antiche il presepe occupa un posto di rilevanza, rappresentando l’importanza di mettere al centro della celebrazione il bambino Gesù.
Il presepe è nato a Greccio grazie a san Francesco d’Assisi, il quale, dopo il suo viaggio in Palestina, sentì il bisogno di rievocare la nascita di Gesù e di vedere con i suoi occhi le condizioni in cui nacque Dio su questa terra, per questo volle ricreare la natività e Greccio. Fu aiutato da un suo amico fidato, Giovanni Velita, che per prima cosa cercò una grotta per rappresentare l’avvenimento e successivamente procurò gli animali e tutto il materiale necessario, a partire dalla mangiatoia. Così, nella notte del 24 dicembre del 1223, venne realizzato il primo presepe vivente, durante il quale le fonti ricordano il miracolo del bambino che apparve al Santo e che egli stesso tenne in braccio.
Il presepe di Francesco è diverso da quello tradizionale, non vi sono Maria e Giuseppe, e neanche i Magi, senza nulla togliere al loro valore e significato, perché è una Natività che punta all’esaltazione dell’essenziale, ciò di cui non può fare a meno nessun presepe, la presenza di Gesù.
Ogni presepe, è quindi anche quelli legati alla rappresentazione tradizionale della Natività, chiamano tutti a soffermarsi sui valori fondamentali che trasmette: l’amore vicendevole, l’umiltà, la solidarietà e soprattutto la Pace.
Ogni figura, animale ed elemento che compone il presepe è un invito più o meno esplicito o simbolico a riflettere sull’importanza delle relazioni importanti della nostra vita, da quelle familiari a quelle amicali, da quelle che intercorrono nelle e tra le comunità, ai rapporti tra popoli diversi e lontani sia spazialmente che culturalmente, perché c’è un bimbo che con la sua innocenza disarma ogni cuore arrabbiato, deluso, triste o pronto alla battaglia. Un bambino disarma chiunque.
Il vero significato del Natale non sta quindi nella grandezza dei regali che facciamo o riceviamo, o nei festeggiamenti più o meno scenografici che vengono organizzati, ma nella forza dell’amore che comunica, quell’amore che deriva dalla scena della Natività dove un Dio onnipotente sceglie di incarnarsi in un povero ambiente, dove maca tutto, ma non l’amore, dando così all’umiltà il significato più grande, quello capace di trasformare la vita, di restituirle il vero valore, quello assoluto e universale che coinvolge ogni uomo e donna, capace di farci riconoscere appartenenti all’unica grande famiglia umana.
Progetto “Reporter a Scuola”
Articolo di Giorgia Simeone e Carlo Rinaldi