La Chiesa della città di Rieti dalla società agricola a quella industriale e postindustriale / 8

Rieti, in una diocesi aperta al diaconato permanente.

La diocesi di Rieti – dopo la reintroduzione del diaconato permanente, nel 1972, da parte del Papa Paolo VI con la lettera apostolica Ad pascendum –, ebbe il suo primo diacono coniugato, ordinato nel 1984, nel romeno don Franco Petre e, il secondo, nel 1986, nel borbontino don Vicenzo Focaroli.

Il periodico diocesano «Frontiera» del dicembre 2000 informava che una decina di uomini sposati (Bancari, pensionati, ex sindacalisti, militari, poliziotti, medici, impiegati) erano in procinto di ricevere il diaconato.

L’Annuario diocesano 2011 registra nei sacerdoti non solo la città di Rieti ma l’intera diocesi come poliglotta, multietnica e senza frontiere che, con tali connotazioni, può diventare una risorsa culturale con sacerdoti che, oltre che parlare lingue diverse, professano tradizioni e sabitudini diverse ma anche acuire i problemi di frammentazione e di scarsa comunicabilità.

Dall’annuario si rileva che i sacerdoti operanti nella diocesi sono 102 di cui 42 nativi sul territorio diocesano, 28 provenienti da altre diocesi italiane, 13 dalla Polonia, 12 dall’Africa, 5 dall’India e 2 dall’America Latina. Numero 38 sacerdoti nati o sul territorio della diocesi di Rieti o provenienti da altre diocesi italiane portano la data di nascita dal 1914 al 1952 mentre i rimanenti sono tutti nati dagli anni 1953 al 1980. Accanto alle note positive la multetnicità può dare la sensazione della frantumazione di un presbiterio diocesano privo di afflato di appartenenza che rispecchia la società attuale frantumata anche dalla secolarizzazione.

Si può correre il rischio anche nella diocesi di Rieti di quanto afferma il sociologo Borsi: «In un tempo in cui tutto sembra sfuggente, mobile, inafferrabile, incontrollabile, alcuni parlano di modernità liquida (come l’ha definita il sociologo Zygmunt Bauman) o modernità in polvere (come la definisce l’antropologo indo americano Arijun Appadurai)».