Il Giappone archivia l’austerity e torna a crescere

L’immenso debito pubblico non frena il Governo che decide una mastodontica immissione di liquidità nel mercato per sostenere i consumi interni. Il deprezzamento della moneta ha consentito il rilancio delle esportazioni.

Le economie sommate di Germania, Francia, Inghilterra: è questa l’entità del debito pubblico giapponese, che per la prima volta, nel mese di agosto, ha superato il limite del biliardo di yen, raggiungendo, rispetto al Pil, una percentuale del 230%. Al fine di contrastare questo fenomeno, che crea non pochi problemi, il Governo presieduto da Shinzo Abe, eletto nel dicembre dello scorso anno, ha deciso di puntare sull’aumento dell’imposta sulle vendite a partire dal prossimo anno, per affrontare la previsione di deficit per il 2013, che si dovrebbe attestare intorno al 10,3% del Pil. Insieme alla leva fiscale, il Governo ha preso altre misure, tra le quali, le più significative sono il deprezzamento della moneta, che ha consentito il rilancio delle esportazioni e soprattutto l’aumento della spesa pubblica, per rilanciare i consumi interni.

Immissione nel mercato di liquidità e aumento della spesa pubblica.

Il programma di governo in base al quale era stato eletto Abe, prevedeva, insieme al rilancio della strategia nucleare – messa in crisi due anni fa dagli eventi di Fukushima – l’avvio di una manovra di spesa pubblica, per complessivi 10,3 trilioni di yen e un’imponente immissione nel mercato di liquidità da parte della Bank of Japan, per aumentare la base monetaria, ad un ritmo di circa 60-70 miliardi di yen all’anno. La previsione che gli analisti fanno è che questo programma porterà il Giappone a rivivere i primi anni ‘90, durante i quali il Pil di quella che ancora oggi è la terza economia mondiale, dopo Stati Uniti e Cina, eguagliava la somma dei Pil di Francia, Germania e Inghilterra e non era lontano da quello degli Stati Uniti. I primi segnali ci sono: il mercato ha ripreso a crescere, la disoccupazione è diminuita del 4,1% e la spesa delle famiglie è aumentata del 5,2 %. Il Giappone è stato in grado, negli ultimi mesi, con questo tipo di politica, perfino di finanziare il debito pubblico americano e quello europeo.

Oltre l’austerity.

Come può accadere tutto questo, considerando l’enormità del debito pubblico giapponese, che sarebbe in grado di annientare ogni speranza in qualsiasi altro Paese del mondo? Per due ragioni essenziali, che dovrebbero far riflettere numerose economie dell’Occidente alle prese da alcuni anni con la crisi economica e che dopo una lunga stagione di austerity, solo ora riescono ad intravvedere segnali di ripresa. La prima ragione è legata al fatto che l’economia giapponese si avvale della possibilità di immettere liquidità nel mercato: la sua Banca Centrale, all’occorrenza, stampa moneta. Il rischio, in questi casi, può essere quello di incrementare l’inflazione. In Giappone, invece, accade esattamente il contrario: secondo i dati Eurostat, dal 1997 al 2011 i prezzi sono scesi dello 0,08%. La seconda ragione risiede nelle caratteristiche del debito: è un debito di carattere interno, che da un lato non è attaccabile tecnicamente dalla speculazione finanziaria internazionale e, dall’altro, consente ai cittadini di finanziare direttamente la spesa pubblica, attraverso i loro risparmi. Il punto di crisi della situazione si avrà quando gli attuali risparmiatori – che appartengono alla generazione degli anni ‘40 e ‘60 – andranno in pensione e, quindi, termineranno di risparmiare e inizieranno a spendere. Potrebbe allora avverarsi la crisi, perché il debito si aprirebbe agli investitori e speculatori internazionali, che in ragione di maggiori profitti, potrebbero imporre interessi maggiori degli attuali. Il debito, in altri termini, potrebbe trasformarsi da “controllato” a “incontrollato”. Per questo, la “partita” che sta giocando il Governo giapponese, ha tempi relativamente brevi.