Preghiera, digiuno ed elemosina. È stata la luce dei tre lumi della Quaresima ad illuminare la partecipata liturgia del Mercoledì delle Ceneri che il vescovo ha presieduto in Sant’Agostino. Tre chiavi per aprire la porta di quella conversione del cuore che è il senso autentico dei quaranta giorni che mancano alla Pasqua. Senza la Pasqua, la penitenza e la riflessione sarebbero vane. È dalla Pasqua che il tempo di Quaresima trae significato. E per questo don Vito ha chiesto di farsi conquistare dal desiderio pasquale, di lasciarsi «prendere dalla testa ai piedi».
«La cenere sul nostro capo – ha detto richiamando un pensiero di don Tonino Bello – dovrebbe avere la forza di penetrare i nostri pensieri, il nostro modo di vedere la vita, e accompagnarci ai piedi dei nostri fratelli». Un movimento delle spirito che dovrebbe coinvolgere la comunità nel suo insieme e per questo è stato bello e significativo vedere la presenza di tutte le età nella basilica di piazza Mazzini, dagli anziani ai più piccoli.
Come mostrano le Scritture, è infatti il popolo intero a vivere la conversione, a compiere il viaggio che dalla terra del faraone porta alla Terra promessa attraversando il deserto. Un’immagine potente che parla dell’alleanza piena e definitiva del Signore con gli uomini. Essa – ha notato mons. Piccinonna – non viene mai meno se non per causa nostra. Ciò che si frappone è il male, il peccato. È l’affidarsi – come il vescovo ha spiegato anche nella sua Lettera per la Quaresima – ai “faraoni di turno”. Ogni epoca ha il suo e forse quello del nostro tempo è l’egolatria, un concentrarsi di ciascuno su di sé che diviene negazione della nostra vera immagine, quella ricevuta nel giorno del battesimo: «essere figlio e figlia insieme agli altri».
Eppure «è il cammino del popolo che va avanti tra le consolazioni di Dio e le tribolazioni del mondo». E dunque è insieme, come popolo, che bisogna agire e ritrovare la dignità ricevuta nel battesimo. Insieme, ma senza perdere sé stessi. Perché la massa rischia di omologare anche quando, come nella nostra società, sembra offrire l’illusione della massima libertà. «E invece siamo fatti con lo stampo!», ha aggiunto don Vito indicando la necessità del deserto. Perché “nello stampo” la vita cristiana non ci sta, ed è nel deserto che si sperimenta sé stessi e si aprono gli occhi. «Nel deserto è impossibile mentire, il deserto fa gettare la maschera, fa compere una rivoluzione».
E questa rivoluzione è proprio quella che si offre nel tempo di grazia della Quaresima attraverso preghiera, digiuno e carità. Quando sono prive di ipocrisia, queste azioni illuminano il nostro rapporto con Dio, con noi stessi, con gli uomini. Fanno si che non ce ne stiamo accartocciati su noi stessi, ci fanno protesi verso la vita. Altrimenti restano piccoli sacrifici che non cambiano nulla.
E allora ne vale la pena solo se siamo pronti ad essere colmati da Dio, a riconoscere che non è sufficiente andare al fondo di noi stessi. «Abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia le chiavi per leggere la nostra esistenza». Ad aiutarci a leggere il nostro stare al mondo, ad insegnarci come essere persone e popolo insieme è Gesù Cristo. Non potremmo farlo da soli: «non senza colui che ci ha creato».