Centro Sanitario Diocesano

«Grazie per ciò che siete e che fate»: il vescovo Vito in visita al Centro Sanitario Diocesano

Il vescovo Vito ha visitato i locali del Centro Sanitario Diocesano, incoraggiando e ringraziando i volontari per il loro lavoro a servizio dei fragili

L’importante è la salute. Quante volte l’abbiamo detto, quanta verità c’è in parole che troppo spesso diamo per scontate.
Sulla targa del Centro Sanitario Diocesano di via san Rufo sono impresse le parole del Vangelo ero malato e mi avete visitato, e con la stessa missione di sempre, quella della carità gratuita portata avanti con attenzione, accoglienza e inclusione, i volontari portano avanti ogni giorno nel centro storico reatino il loro lavoro al servizio dei bisognosi.
Nel tardo pomeriggio di mercoledì 7 giugno a visitare i locali inaugurati nell’aprile 2016 – prima di allora esisteva in via San Pietro Martire uno studio medico della carità – è arrivato il vescovo di Rieti monsignor Vito Piccinonna, accolto dal direttore e diacono Nazzareno Iacopini e da una folta e gioiosa rappresentanza dei volontari della struttura.
«Un onore averla qui, noi facciamo anche una medicina di relazione, le persone spesso non hanno solo bisogno di cure mediche, ma anche di indicazioni, di consigli, di persone che accolgano le fragilità e se ne prendano cura». Senza mai dimenticare il sorriso, che le segretarie volontarie Cinzia, Serenella e Carola non lasciano certo a casa.
Il direttore Iacopini ripercorre per grandi linee «una storia lunga, partita con un solo medico e un paio di infermieri», fino ad arrivare a locali moderni, confortevoli e dotati di apparecchiature elettromedicali all’avanguardia: «La nostra utenza è molto varia, e il servizio si basa sulla buona volontà di persone che arrivano anche da altre province a far servizio qui, in maniera del tutto gratuita: questo è il senso del nostro lavoro, ed è per questo che siamo diventati una grande famiglia. Qui se se una persona ha un problema, quel problema diventa di tutti, se uno ha un bisogno, anche quel bisogno diventa di tutti».
Il vescovo Vito ascolta e osserva, chiede alle persone di presentarsi nei propri ruoli e nelle proprie competenze. Si alza la mano, si esprimono pensieri e osservazioni, ma anche le motivazioni che spingono a dedicare il proprio tempo libero – magari dopo la sudata pensione – a un servizio da dedicare a chi tende la mano o non ha i mezzi per potersi curare.
«Sono in pensione e lo faccio volentieri, è un’attività in cui crediamo tutti, la facciamo con grande piacere e gratificazione. Non è certo il pensionamento che ti fa smettere di aiutare chi ha bisogno», spiega il dottor Zingarelli, che sottolinea anche lo spiccato senso di squadra di tutti i componenti: «Ci confrontiamo, festeggiamo le nostre ricorrenze, facciamo regolarmente cene conviviali che aiutano a sentirsi parte della stessa compagine». E che quando si lavora in armonia si lavora meglio e in maniera più produttiva, non serve certo ricordarlo.
Alza la mano anche Maria, una vita da infermiera, la seguono il dottor Giuliani che si occupa di dipendenze, la psicologa che sottolinea un «bisogno di costanza e continuità» per il suo settore, il cardiologo dottor Sciarra, poi la persona che si occupa di consulenza legale e di gestire l’associazione Parkinson all’interno del Centro.
Tira le fila il direttore sanitario dottor Angelo Dionisi: «Non dobbiamo mai dimenticare che il nostro intento non è quello di sostituirci a nessuno, ma solo di fornire un’assistenza sanitaria di base. Questa struttura si è sviluppata nel tempo e adesso fornisce praticamente consulenze in tutte le specialità mediche. Ci dedichiamo ai deboli, ai poveri e agli immigrati, creiamo con loro un rapporto di vicinanza, la nostra è anche una medicina narrativa. E sono i pazienti a darci più di quanto noi diamo a loro».
A livello di statistiche, il Centro Sanitario della Chiesa di Rieti accoglie circa 250 pazienti all’anno, molti dei quali extracomunitari, provenienti da Paesi difficili oppure famiglie in difficoltà economica a cui vengono forniti gratuitamente anche i medicinali: «Ultimamente arrivano molti pazienti dall’Ucraina, visto il conflitto in corso, ma abbiamo anche molte persone albanesi, provenienti dall’Iran o da altre zone».
Monsignor Piccinonna prende la parola in conclusione, e ringrazia tutti per un servizio prezioso e raro: «Grazie per ciò che siete e ciò che fate, questo bel posto mi ricorda la locanda del buon samaritano. Sono qui per incoraggiarvi nella vostra gratuità, e per sottolineare che la Chiesa è chiamata ad essere prossima e vicina, seppur libera da tentazioni di onnipotenza e tenendo sempre a mente che quello che vediamo qui è un frammento di bene che va ad unirsi a tanti altri frammenti. Quello che è davvero importante è mettere sempre questi frammenti in comunione e collegamento tra loro, e sentirsi in comunione nell’ambito della carità».
Bisogni di tutta una città, che è necessario «siamo attenzionate da tutti, perché i cittadini disorientati vadano orientati nella giusta direzione».
«La Chiesa è come un ospedale da campo, deve curare le ferite di tutti», disse papa Francesco, e con questa frase, dopo una preghiera collettiva, il vescovo Vito ha lasciato i locali di via San Rufo. «Una visita che ci ha aperto il cuore», commentano i volontari vedendolo allontanarsi, commossi e gratificati.
E alla domanda su cosa spinga, in un mondo in cui è sempre più l’individualismo a farla da padrone, a darsi così pienamente per sostenere le fragilità del prossimo, il dottor Dionisi usa poche parole stringendosi nel camice, quelle che non cercano medaglie o lodi, ma esprimono semplicemente una scelta di vita che va ben oltre mestiere e profitto.