Circa 300 militari e poliziotti hanno già partecipato ai corsi di formazione promossi dall’arcidiocesi di Manila per contrastare la “guerra alla droga” portata avanti nelle Filippine dal presidente Rodrigo Duterte, che ha prodotto finora migliaia di vittime di esecuzioni extragiudiziali. Il card. Tagle racconta di aver scelto la via del dialogo e delle proposte “proattive”, anziché criticare solamente: oltre ai corsi per le forze dell’ordine, ha attivato programmi per la riabilitazione dei giovani tossicodipendenti, lezioni di violino ai ragazzi di strada per sottrarli alla criminalità, formazione nelle comunità di base
Ha scelto la via del dialogo, della non violenza attiva e delle proposte “proattive” il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, per affrontare il pugno d’oro che il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte sta usando nella sua “guerra alla droga”. Secondo fonti asiatiche sono almeno 12.000 le persone uccise da metà del 2016 ad oggi, le organizzazioni per i diritti umani parlano di migliaia di vittime. La maggior parte sono esecuzioni extragiudiziali, torture e abusi commessi dalle forze dell’ordine che hanno “licenza d’uccidere”, talvolta anche innocenti, e sempre nelle comunità più povere. La Chiesa cattolica filippina ha spesso alzato la voce per denunciare e protestare contro tanta violenza di Stato e chiaro disprezzo per le vite umane, con posizioni dei vescovi più o meno forti. Dal Festival della Missione che si è svolto dal 12 al 15 ottobre a Brescia, il card. Tagle non si è sottratto alle domande dei giornalisti sulla situazione del suo Paese. E ha raccontato alcune iniziative interessanti dell’arcidiocesi di Manila, come i corsi di formazione rivolti alle forze dell’ordine, per aiutarli a riflettere e arginare gli abusi, e un programma per la riabilitazione dei giovani tossicodipendenti.
Card. Tagle, come sta vivendo questo periodo della presidenza Duterte?
Sono stato 9 anni in seminario sotto la dittatura di Marcos, per me non è una cosa nuova. Ogni presidente ha un mandato di 6 anni e dopo c’è un altro presidente. Io sono stato fortunato perché, anche se è stato un periodo duro,
ho imparato in seminario il movimento della non violenza attiva,
fondato sul dettame della Bibbia: il male cresce se rispondo ad un altro male. Se qualcuno grida io sorrido e quello smette di gridare. È una difficile disciplina interiore ma con determinazione si riesce.
Come vi relazionate nei confronti del governo?
In questo momento la Chiesa sta dicendo al governo che il problema del narcotraffico è grave e non possiamo far finta di niente, tante famiglie sono distrutte dalla droga e dall’alcool. Apprezziamo gli sforzi del governo e delle persone di buona volontà per cercare una soluzione e anche la Chiesa vuole contribuire, secondo le proprie capacità e la propria missione. C’è però una diversità negli approcci.
Personalmente mantengo aperta una linea di comunicazione con il presidente.
Se c’è la possibilità vado direttamente al dialogo. Un’altra via è proporre programmi concreti. Nell’arcidiocesi di Manila, ad esempio, abbiamo iniziato in una parrocchia
un programma per la riabilitazione dei giovani tossicodipendenti, in collaborazione con la polizia e l’ufficio del sindaco.
Facciamo attività di counseling per le famiglie, la Caritas aiuta nella ricerca di posti di lavoro o borse di studio e pian piano la comunità assume diverse responsabilità. Usiamo un approccio positivo e proattivo.
E il presidente Duterte come risponde?
Due settimane fa ho ricevuto un messaggio da un segretario del presidente Duterte: ha detto di essere molto interessato al programma della Chiesa e vuole sapere come le parrocchie vanno avanti.
Le forze dell’ordine hanno ancora licenza di uccidere?
Io non voglio giudicare però per rispondere a questo problema ho convocato i generali e i capi delle forze dell’ordine coinvolti nella “guerra alla droga”. È stata una conversazione serena, umana. Ho messo a disposizione, da parte dell’arcidiocesi di Manila,
una formazione continua rivolta a poliziotti e militari.
I generali hanno accettato. Sono già tre i gruppi che hanno concluso la formazione.
Invece di criticare, proponiamo.
Cosa insegnate durante questi corsi rivolti alle forze dell’ordine e quanti vi partecipano?
Cominciamo con qualcosa di molto umano. Ad esempio, ho partecipato ad una sessione per far comprendere, in maniera diplomatica, che ogni persona è frutto di un passato e di una storia fatta di ombre e luci.
Ogni gruppo è composto da 80/100 militari e poliziotti di ogni ordine e grado. Sono musulmani, protestanti e cattolici.
Abbiamo coinvolto anche generali e capi della polizia in pensione. Il presidente ha detto che vuole apprendere il programma della Chiesa.
Sono migliaia le persone uccise finora, sperate che con queste iniziative qualcosa posso cambiare?
Speriamo, speriamo, speriamo e speriamo.
È importante anche la formazione delle comunità di base per vigilare le strade e aiutare le famiglie, specialmente i giovani.
La povertà è una delle ragioni del fenomeno della droga. Di recente ho parlato con i miei compagni d’università perché quest’anno celebriamo 40° anniversario della laurea. Li ho convinti a fare qualcosa per i ragazzi di strada, vulnerabili a prostituzione e droghe. Loro hanno donato 36/38 violini e un mese fa hanno iniziato lezioni di musica per i ragazzi di strada.
Ora il mio sogno è che durante la prima messa della novena di Natale, nella cattedrale di Manila, possa suonare l’orchestra di violini dei ragazzi di strada.
Cinque ore di pratica musicale sono cinque ore lontano dalla strada e dalle cattive influenze. Va bene la critica, ma se accompagnata da proposte.
Perché tante persone, in un Paese a maggioranza cattolica, danno consenso ad un “uomo forte” come Duterte?
Alcuni dei nostri preti diocesani hanno fatto dei sondaggi informali: la gravità del problema della droga ha spinto le persone, specialmente i genitori, alla disperazione. Come cristiani credono, a livello dottrinale e morale, che la vita di ogni creatura è un dono di Dio, ma i genitori provano una forte disperazione esistenziale e non sanno dove andare a trovare soluzioni al problema della droga. Questo governo propone una soluzione e i genitori hanno detto: “Proviamo”. Ma lo hanno fatto per disperazione.