Rieti e la fine del volontariato

Possibile che i diritti, i servizi essenziali, l’accesso alla sanità, debbano dipendere in modo crescente dall’azione del cosiddetto “terzo settore”?

Da tempo il volontariato ha un ruolo rilevante nella nostra società. A Rieti, l’azione delle associazioni sta crescendo in importanza e visibilità. C’è un forte riconoscimento sociale verso molte di queste realtà. Alcune organizzazioni si stanno letteralmente istituzionalizzando.

I campi di azione in cui il successo è maggiore si trovano quasi tutti attorno alla salute e alla sofferenza. Servizi ospedalieri, assistenza agli anziani e supporto alla disabilità sono spesso il campo di lavoro della buona volontà organizzata. Forse accade perché lo Stato arranca. I bisogni crescono, ma tra l’ossessione per il debito pubblico e certe profonde disfunzioni clientelari, il sistema sembra ormai incapace di rispondere a tutti.

Ben venga dunque la supplenza del volontariato? Non proprio. In tanti spendono un po’ del proprio tempo per gli altri. Ma anche dietro alla buona volontà e alla buona fede si può nascondere qualche problema.

Nella nostra città la presenza delle realtà associative permea ormai diversi ambiti della vita sociale. Pare che anche il Comune stia spingendo per “valorizzare” il ruolo delle associazioni. A poco a poco, i confini tra il volontariato, che è tempo libero, ed il tempo produttivo si sono fatti incerti.

Non è stato sempre così. Fino a pochi anni fa le associazioni erano poche, erano piccoli gruppi di audaci. Rappresentavano una alternativa al modo di essere della società. Non disponevano di una capacità di comunicazione diffusa ed efficiente e forse non si ponevano nemmeno il problema di un riconoscimento.

Mancava quasi del tutto una legittimazione sociale codificata verso il cosiddetto “no profit”. La scelta del volontariato era già in se stessa una dimostrazione di originalità e forza di volontà. La risposta più frequente al servizio spontaneo di solito era: «ma chi te lo fa fare?».

Il consenso di oggi, dunque, ha un ché di sospetto. Va bene che il mondo delle associazioni si riconosca come soggetto. Ma il volontariato dovrebbe essere un luogo di contraddizione. Nella società dell’utile, della rendita, dei debiti e dei crediti, il gesto spontaneo, disinteressato, dovrebbe sembrare irrazionale, stonato. Il più cristiano degli atteggiamenti, l’apertura compassionevole al prossimo, mantiene ancora un sapore che va dall’ingenuità infantile fino quasi alla devianza.

Perché dunque la scelta del volontariato è accettata e addirittura promossa? Di certo non è perché si sia affermata una società dell’amore e del gratuito. Si direbbe piuttosto che perfino il volontariato subisca una “normalizzazione” in un contesto che guarda all’utile più che al bene.

Ecco il “terzo settore”! La parola sembra nascondere qualcosa: che sia la voglia di “addomesticare” il volontariato? Si trasforma un moto dell’animo, una necessità interiore, in un affare burocratico, in un “settore produttivo” di comodo.

In questo modo si inquinano le acque. Oggi tanti giovani mostrano attenzione per il “terzo settore”. Ma quanti sono semplicemente a caccia di crediti formativi, scolastici o professionali? Quanti hanno davvero una vocazione a tendere la mano, senza un premio, un ritorno, una ricompensa? Ed il finanziamento pubblico al volontariato, strutturato in forma di servizi, bandi e incentivi, in quanti casi nasconde interessi poco nobili?

Intendiamoci, nel volontariato reatino c’è tanta onestà e tanta buona fede. Ci sono realtà che sentono il dovere di creare consorzi in grado di rispondere alle disfunzioni pubbliche.

Potrebbe essere pericoloso. Lo Stato non si ritrae solo per inefficienza. Anzi, il venire meno dei servizi pubblici corrisponde per lo più all’interesse ideologico ed economico dei soliti potentati.

Supplire ai tagli con il volontariato può essere poco lungimirante. Si tampona il disagio sociale, è vero, ma in questo modo tra i più deboli si affievolisce la rivendicazione di servizi pubblici più efficienti. Ecco il rischio: il terzo settore riesce a supplire, a fare fronte, a farsi carico, mentre il Pubblico gentilmente taglia.

Pensiamoci bene: potremmo perdere qualcosa che sarebbe poi difficile riconquistare. Paradossalmente, con l’aiuto della buona volontà di tanti, può capitare di spianare la strada ad una definitiva privatizzazione dei servizi essenziali. Qualcuno ci dirà che esageriamo. Può darsi, ma forse conviene riflettere.

2 thoughts on “Rieti e la fine del volontariato”

  1. luca

    Il volontariato dovrebbe essere aiutato con servizi accessori non con soldi e dovrebbe essere aperto a tutti

  2. Angelo Nicola Meola

    L’Articolo n.1 della nostra Costituzione dice che siamo una Repibblica fondata sul Lavoro,…. e non sul volontariato.
    Purtroppo il confine tra le due cose è sempre meno definito ed il pericolo di confondere una prestazione “professionale” con quella “volontaria” è pericolosamente reale ed attuale. ANM

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