Anna Mazzamauro al teatro Flavio: «non sono brutta, sono atipica»

Anna Mazzamauro si muove in scena con una consapevolezza dell’arte teatrale più unica che rara. Disinvolta, ironica, padrona della voce come solo i doppiatori sanno fare, collabora attivamente con i tecnici per individuare la luce più giusta, la cadenza più azzeccata, il movimento più efficace.

La nota attrice romana arriva a Rieti in chiusura della stagione di prosa del teatro Flavio Vespasiano con il suo recital “Nuda e cruda”, per la regia di Livio Galassi.

Uno spettacolo che le si addice particolarmente, cucito a pennello su un talento sfaccettato ed in gradi di interpretare più registri, dal comico al drammatico fino al tragico, senza tuttavia risultare mai stridente. Ed è con estrema disinvoltura che l’attrice passa dalla signorina Silvani – indelebile macchietta della saga di Fantozzi -, alla Magnani che si strugge per amore dopo il tradimento del suo Roberto Rossellini, per poi tornare alle battute in romanesco verace, e poi ancora nello struggente, fino a toccare il dolore immenso di una madre a cui hanno massacrato una figlia.

Non risulta mai fuori tema la Mazzamauro, ed è lei stessa a spiegarne le ragioni: «come tutti gli attori, mi piace osservare quel che mi circonda che, per essere mostrato nella maniera migliore al pubblico, esige una sottolineatura. Affronto diversi temi non solo con il registro comico, ma in alternanza. Quando la gente si abitua alla risata, è allora che puoi dargli dei cazzotti. Credo che con la leggerezza il pensiero possa volare. Se sono ironica con me stessa, dopo posso massacrare gli altri». Di ironia con se stessa, Anna Mazzamauro ne ha fatto uno stile di vita.

Talvolta è addirittura spietata, e non riesce a prescindere dall’elogio della sua bruttezza, né in scena né fuori: «vuoi una foto con me? Va bene, ma aspetta che almeno mi trucchi…certo, non è che poi cambi tanto». “Nuda e cruda” è un elogio all’atipicità che la distingue dalle colleghe che si affannano a rifarsi belle «e io che faccio, me rifaccio brutta n’altra volta?».

La scenografia semplice ma luminosa con soli due musicisti presenti in scena consente all’attrice di muoversi in libertà tra lustrini e ricordi, in una sorta di confessione tra lei e il suo pubblico, attraverso la narrazione della sua vita e della sua carriera fin dagli esordi cinematografici. Quasi ottant’anni, un curriculum strepitoso e un carico di energia da vendere, la Mazzamauro incarna un prototipo di donna di spettacolo estranea ai clichè luccicanti da red carpet: rispetto alle colleghe che possono contare anche sull’avvenenza fisica, lei dichiara di essere avvantaggiata, poichè «la bruttezza ha un vantaggio sulla bellezza: è che dura».

Al di là della sagace ironia sull’aspetto fisico, la consapevolezza della propria bravura; dopo aver assistito alla prova generale, la raggiungo in camerino, e non riesco a non dirle quanto sia brava. La battuta è pronta e immediata: «te credo, mica me potevi dì che so bella!», ma poi, velocemente, si torna seri: «lo so che sono brava, so fare solo questo».