Cellulari accesi a teatro, lo spettacolo più brutto è quello del pubblico

Prima Toni Servillo e Claudio Bisio, ora Raoul Bova. Ma sono solo i casi più eclatanti di attori che hanno deciso di interrompere lo spettacolo teatrale in cui erano intenti a recitare. Il motivo? Il trillo dei cellulari dalla platea, e dunque la relativa indisciplina degli spettatori.

E’ accaduto al Metropolitan di Catania, dove l’attore romano, di casa in Sabina, era in scena insieme all’attrice Chiara Francini per la tournèe dello spettacolo “Due”. Il noto aplomb dell’attore, sempre disponibile con la pazienza di un monaco tibetano ai veri e propri “assalti” sovente poco cortesi delle focose ammiratrici, è stato messo evidentemente a dura prova dal comportamento del pubblico catanese, tanto che l’attore dopo vari avvertimenti ha disertato il palcoscenico per i saluti finali.

«Non me la sono sentita di fare l’uscita singola per i ringraziamenti, ho fatto solo quella di gruppo. Non sono intransigente, ma la reiterazione continua ha creato un clima assurdo. C’era la gran parte di pubblico che voleva assistere allo spettacolo che discuteva con i pochi che disturbavano» – ha dichiarato Bova.

La già poca educazione alla cultura teatrale è un fenomeno degenerato negli ultimi anni a seguito all’invasione dei telefoni cellulari che pare siano impossibili da spegnere o silenziare persino nelle due ore scarse della durata di uno spettacolo. Episodi dello stesso tenore si ricordano anche al teatro Flavio Vespasiano di Rieti, primo fra tutti l’intenso monologo in cui la verace partenopea Giuliana De Sio, vestita da sposa e armata di coltello, era scenicamente intenta a sopprimere i tre figli piccoli, e nei panni del suo mentalmente labile personaggio ne spiegava le ragioni al pubblico.

Peccato che tra il pubblico ci fosse qualcuno che non potè evitare il trillo di una sorta di saltarello abruzzese scelto come folkloristica suoneria del proprio cellulare. L’attrice, visibilmente disturbata, portò a termine il monologo ma dai camerini non mancò di lamentarsi del pubblico reatino di cui certamente non serberà un buon ricordo.

Stessa cosa dicasi per Maria Amelia Monti e Giorgio Albertazzi, ma la lista è tristemente lunga. Separarsi dalla propria appendice tecnologica appare dunque impresa assai ardua, tanto che se si ha l’accortezza di silenziare il dispositivo non si ha quella di lasciarlo giacere in tasca o in borsa, evitando di disturbare continuamente con la luce dello schermo nel quale si sbircia continuamente non sia mai si venisse convocati urgentemente al Quirinale o alla Casa Bianca. E dire che il biglietto si paga, e talvolta è pure salato.

E dire inoltre che spendiamo fiumi di parole per cantare le lodi di quel “gioiellino” che è il teatro Flavio Vespasiano, guardandoci poi bene dal rispettarlo, a partire dalla sua pregevole acustica. Che amplifica tutto, pure i saltarelli abruzzesi che abbiamo come suoneria. Sic.