«L’ambiente urbano è paritetico come importanza all’ambiente naturale». ha spiegato l’architetto Piero D’Orazi, responsabile territorio e ambiente della Delegazione Fai di Rieti, durante durante il primo dei quattro convegni dedicati alla “Percezione consapevole di ambienti e spazi significativi” organizzati dal Fai di Rieti e da «Frontiera».
«Il fatto che questo sia sempre stato vero nella storia ce lo dimostrano le città italiane, le città che solo noi abbiamo. Se c’è qualcosa che non hanno gli altri Stati nel mondo è sicuramente la fondazione della città come è avvenuta e come si è trasformata in Italia. Quando è che abbiamo perso questa sapienza? Ad un centro punto – sottolinea D’Orazi – questo filo rosso si è interrotto e abbiamo importato un modello economico che non è sicuramente nostro. Ci ha aiutato in un primo momento, ora ci sta portando alla rovina. Abbiamo assoggettato l’ambiente e la città ad una dimensione non appropriata. Se io riduco tutto all’uso del denaro e del capitale è evidente che alla fine dovrò cedere su presupposti che noi non abbiamo mai perso come in quest’ultimo periodo, importando modelli di città di culture cui paradossalmente abbiamo sempre insegnato come si fanno le città. Abbiamo preso passivamente un modello sbagliato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti».
Secondo l’architetto, la domanda che dovremmo farci è: «perché oggi c’è differenza tra città e ambiente quando invece una volta erano strettamente corrispondenti? Oggi c’è ancora la possibilità di ripensare certe scelte, ma si perde mano a mano che andiamo avanti. Alcuni dati sono significativi: ad esempio il consumo del territorio. Si accompagna alla città diffusa, non delimitata, ma – detto impropriamente – sparpagliata sul territorio. È una dinamica che non ci appartiene, né possiamo farlo. Vuol dire produrre anche un’anti-economia».
«La città discontinua è destinata a fallire» ha sottolineato D’Orazi. «Lo vediamo tutti nel nostro caso: un’estensione di 12 km quadrati di città per 30.000 abitanti non è realistica. Consumiamo ettari ed ettari di terreno. Il che comporta infrastrutture preponderanti per una densità così bassa. Abbiamo circa 400 km di acquedotto e 300 km di fognature da mantenere. Ogni giorno il trasporto urbano percorre 4.000 km. Con un litro e mezzo di carburante i nostri autobus coprono circa 3 km. Fate voi il conto. In queste condizioni il fallimento è inevitabile».
«Se la città fino adesso non è fallita – ha chiarito l’architetto – è per il semplice motivo che la sosteniamo tutti in maniera non differenziata. Ci costano di più l’acqua, i rifiuti, il trasporto, costa più tutto. In queste condizioni non c’è possibilità di salvezza se non dare un limite all’espansione. Alcune città americane si sono poste questo problema e hanno detto: “non si consuma più territorio, anzi, si torna indietro”. In Germania c’è un coefficiente di consumo del territorio per tutto il territorio nazionale ed oltre quello non si può andare. In Italia il territorio è quello che è: 300.000 km quadrati. Eppure di queste cose neanche si parla. Non si pone un limite. Noi costruiamo case e strade, impermeabilizziamo i suoli. E poi succede il disastro, ma non potrebbe essere altrimenti».