Non c’è una generazione peggiore delle altre, ci sono sempre e solo adolescenti che crescono e cercano confusamente il libretto di istruzioni, per vivere una vita che «poteva andare, ma, non si sapeva dove».
Nell’Italia degli adolescenti sempre più disinvolti e (apparentemente) disinibiti è in atto un cortocircuito emozionale e sanitario non da poco. Due notizie nel giro di un paio di giorni ricordano anche ai più distratti che non si può dare per scontato ciò che non vuole esserlo e fa di tutto per farsi notare. Ecco allora che, mentre si abbassa l’età della prima volta, dove la precocità delle ragazze accompagna l’ansia da prestazione dei ragazzi, quasi in pari binario si impennano le malattie sessualmente trasmesse da chi gioca un gioco di cui fa finta di conoscere le regole, per poi bruciarsi senza passare dal via.
Le parole si sprecano perché riempiono i vuoti. Gli spot informativi, l’educazione, il ruolo della famiglia, il compito della scuola e, finanche, la difesa d’ufficio: non è un problema leggere libri indecorosi a scuola perché tanto i ragazzi di oggi… Sì, come no, poi le ultime rilevazioni sulle malattie veneree ci dicono che tra i famosi giovani d’oggi (sono sempre “i giovani d’oggi”, fateci caso) si registra il ritorno in impennata della sifilide. La sifilide è una di quelle malattie che l’immaginario collettivo immediatamente associa a un lontano passato, quasi letterario, fatto di sporcizia, di avventurieri e di postriboli. La malattia innominata, quindi nominata con pseudonimi diversi, ad accollare la colpa ai mercenari venuti a portar la peste da fuori ed ecco il perché del “mal francese”. Quella cosa che prima dell’avvento degli antibiotici portava a cecità, paralisi, demenza, morte. Ecco, quella cosa lì è tornata. E fa da apripista all’infezione da Hiv. Lo ha detto persino “Repubblica”, non propriamente l’househorgan dei teocon.
Le parole si sprecano fino a far perdere loro di significato. Parlare di educazione all’affettività, al rispetto del proprio corpo e di quello altrui, al sentimento, al senso del donarsi, era troppo difficile, tropo impegnativo. Così si è cercato un termine nuovo e magico, la prevenzione. Che non sarebbe nemmeno sbagliata se intesa nel senso aiutare a prevenire la dissipazione emotiva degli adolescenti, alle prese con qualcosa di estremamente fragile da maneggiare ma continuamente bombardati da messaggi che li esortano a usarne con spensieratezza. La scoperta e, soprattutto, il vissuto della sessualità sono stati nel tempo spogliati del loro mistero per finire fagocitati nella banalità del prêt-à-porter del consumo. In un fast food del corpo che lascia insoddisfatti i bulimici dell’emozione a gettone e istruisce all’anaffettività insapore del “tanto è tutto uguale”. Un gioco a perdere, anche se stessi.
Le parole si sprecano quando si vuole cambiare antropologia. Gradatamente, in silenzio, la tanto sbandierata pre-venzione è diventata post. Dalla consapevolezza partecipata della coppia nel mettere testa, cuore e cura a ciò che per natura è condiviso, si è passati allo scaricabarile in capo alla donna. La pillola del giorno dopo diventa così un rimedio da comodino e ogni fanciulla giudiziosa, nelle parole di sedicenti esperti, non dovrebbe mancare di farne scorta perché non si sa mai. Solo che, se così si evita la temibilissima e mortale malattia chiamata “gravidanza” (famoso ginecologo docet), si trascura di avvisare che c’è in giro un tot di infezioni pronte a diffondersi grazie allo scambio (in)consapevole insito nella gestualità dell’amore. Ma qui entrerebbe in campo altro, perché quando si parla d’amore si parla di quella cosa che richiede attenzione, sentimento, riguardo, responsabilità. Concetti talmente logorati dal disuso che in alcune scuole statunitensi si tengono corsi appositi, per far reimparare ai ragazzi e alle ragazze cosa vuol dire voler bene, desiderare, aver bisogno.
Non c’è una generazione peggiore delle altre, ci sono sempre e solo adolescenti che crescono e cercano confusamente il libretto di istruzioni, per vivere una vita che “poteva andare, ma, non si sapeva dove”. Così, a volte, a qualche bivio chiedono indicazioni. Siamo pronti a darle?