Accademia Grenna: come risolvere con ago e filo

Si dice spesso che per uscire dalla crisi occorre inventare qualcosa di nuovo. È vero, ma non è necessario reinventare ogni volta la ruota. Si può anche cercare di traghettare qualche esperienza della tradizione nel contesto contemporaneo.

Si direbbe il tentativo intrapreso da Gabriella Grenna, che appoggiandosi ad una esperienza consolidata e forte di tanta passione sta portando avanti l’interessante esperienza di una accademia di moda finalizzata a formare professionalità immediatamente spendibili sul mercato del lavoro.

Da dove è venuta l’idea di aprire una scuola del genere? A Rieti non c’è mai stato questo tipo di tradizione…

È vero, tranne alcune bravissime sarte e sarti, sia da uomo che da donna. Una tradizione di questo tipo non è proprio mancata, ma adesso ci troviamo di fronte ad un salto generazionale importantissimo. Non ci sono più sarti o, se ci sono, sono anziani e non hanno avuto modo di trasmettere il loro sapere.

È il prezzo che abbiamo pagato al supermarket della moda?

Sì, c’è stato un lungo periodo in cui era molto semplice comprare e consumare, in cui la moda era pensata per bruciarsi rapidamente, in cui non si badava alla qualità perché «tanto si ricompra, tanto costa poco». Ma questo periodo è passato.

Com’è il panorama oggi?

C’è un trend molto positivo della moda. Io sono un po’ di anni che ho cominciato a fare corsi di sartoria, di ricamo e tombolo. Per quanto riguarda il mondo della sartoria ho cominciato a girare, mi sono informata, ho visitato i vari atelier e le varie scuole, finché ho incontrato il “metodo Burgo” e ho cominciato questa avventura della scuola di moda diventando esclusivista per Umbria e Lazio.

Ma perché questa scelta della sartoria?

Perché ho visto che c’è richiesta, c’è un mondo apertissimo su questo. Io ricevo richieste anche da grandi case di moda per avere un ragazzo o una ragazza formati ad alto livello. Il metodo Burgo è molto conosciuto e riconosciuto dalle case di moda. Occorre considerare che la formazione artigianale a livello universitario non esiste. Ad esempio l’accademia di moda e costume non offre la parte pratica. Da noi vengono anche ragazzi che sanno tutto della teoria, della storia del costume, ma che non sanno “fare”.

Ma Rieti non è tagliata un po’ fuori da questo genere di circuiti?

Il problema di Rieti è che è piccola. Il problema, dal mio punto di vista, non sono tanto i collegamenti: le persone che frequentano questa scuola vengono tranquillamente anche da fuori. Ma i nostri numeri sono fisiologicamente piccoli. Il che non vuol dire che con l’impegno non si possa crescere. Qualcosa si sta muovendo, ma debbo dire più da fuori che da dentro Rieti.

La città è un po’ indifferente?

Non direi indifferente, è che si sta a guardare. Mentre il momento buono è questo.

Mi viene in mente che in altre zone del Paese ci sono veri e propri distretti produttivi nel settore moda. Non sarà che Rieti è un po’ troppo al di fuori di queste aree?

Secondo me non è questo il punto. In fondo noi offriamo un sistema moda. Se arrivano richieste da Milano qualcosa vorrà dire. Certo, dobbiamo muoverci, ma qualche distretto vicino lo abbiamo in Umbria, qualcosa attorno Roma, il resto in Toscana. Non è poi così lontano. Qui riceviamo commesse anche importanti, il problema è riuscire a soddisfarle. L’alta moda e la sartoria hanno bisogno di pratica.

Che è quello che propone il metodo scelto dall’Accademia Grenna…

Sì, il metodo che seguiamo è eccezionale. I ragazzi fanno per l’80% pratica. Si utilizzano macchine industriali e in questo modo non si hanno problemi quando si avvicinano o entrano all’interno di una azienda. La preparazione finale non è un test, ma la realizzazione di un abito che viene valutato da una commissione di esperti del settore. Di solito avviene a Milano, anche per stimolare l’apertura e il confronto.

Del resto chi fa questa scelta sa che deve muoversi, proprio perché non abbiamo un distretto del settore.

Da questo punto di vista la città e vuota: non abbiamo sartorie, c’è una carenza importante. Ma questo vuol dire che c’è posto. Dei ragazzi hanno cominciato hanno aperto già un negozio vero e proprio, e gli manca ancora un anno di preparazione. Un altro ragazzo ha già fatto una collezione: l’ha prodotta e l’ha messa in vendita in un negozio di Rieti. A pochi giorni dall’esordio ha già venduto otto capi. Un’altra ragazza è stata chiamata a Cinecittà a fare un po’ di costumi…

Le applicazioni sono tante. Sembra riduttivo concentrarsi solo sulla moda.

È vero, soprattutto sui costumi c’è una grande richiesta. E le possibilità sono diverse. La nostra offerta formativa comprende Stilista, fashion designer, sartoria professionale e modellismo, quattro grandi blocchi. Anche il modellista è ricercatissimo. Un bravo modellista sa fare il modello di qualunque cosa in qualunque settore: che siano pelle, stoffa, pupazzi… qualunque cosa vada industrializzata. Non a caso il modellista può specializzarsi nel C.a.d., nel disegno informatizzato.

Un punto di unione tra artigianato ed industria.

Sì, è un universo completo: chi vuole può rivolgersi al settore più difficile dell’alta moda, nel quale tutto è fatto a mano. In generale il metodo adottato è flessibile: al momento della specializzazione ognuno decide dove andare: donna, uomo, bambino, costumi, e così via.

Una città in cui la perdita di occupazione è allarmante, può pensare di reinventarsi anche in questo modo? In fondo nel settore si direbbe ci sia più domanda che offerta.

Secondo me sì. Assistiamo ad una tendenza positiva del settore. È vero che le case di moda hanno portato tutta la produzione all’estero, ma quando si trovano di fronte alla scelta di un abito importante, i clienti tendono a non acquistarlo perché non ritengono il prezzo adeguato al fatto che sia stato realizzato in Cina o a Taiwan. Le persone sono disposte a spendere se davvero c’è la sartoria italiana. Di conseguenza molto sta rientrando nel nostro Paese. Anche nel mondo c’è domanda della nostra moda solo se è fatta in Italia. Ciò di cui si sente la mancanza è la tradizione. Ed allora quello che va molto è il prodotto di nicchia. Vista così la questione, si può pensare ad una filiera: in fondo la moda la si può fare dappertutto. Anche a Rieti. Oggi è il mondo che si muove: dal punto di vista della produzione non c’è una necessità assoluta di stare in un centro piuttosto che in un altro. Sai che devi far girare le cose, ma la tua base la metti dove vuoi.