«8 ottobre 1998. Venti anni fa. Ne aveva quarantaquattro di anni Domenico Geraci, quando un commando decise di ucciderlo a fucilate davanti casa. Era la mafia degli anni novanta, quella che sparava, faceva saltare autostrade, appartamenti, chiese. Quella che aveva dichiarato guerra allo Stato. Mimmo Geraci era un sindacalista Uil. Era un siciliano che conosceva bene la sua terra. Denunciò con forza la presenza dei boss a Caccamo, la sua città natale. Quelle denunce ripetute nei giorni e negli anni diedero fastidio a Cosa nostra. Diedero talmente fastidio che la sera dell’8 ottobre del 1998, un commando mafioso, lo attese sotto casa e lo trucidò».
Alberto Paolucci, segretario generale del distretto Uil di Rieti e della Sabina Romana, ricorda Domenico Geraci. E lo fa tornando indietro al 6 settembre scorso durante la quarta edizione di Incontriamoci, Ricostruiamo il futuro, quando appunto la sala riunioni del sindacato reatino è stata dedicata a Mico.
«Quella che uccise Mico era una mafia prepotente e rozza – ricorda il Segretario Uil – Oggi la mafie hanno cambiato pelle, sono ugualmente prepotenti ma stanno perdendo quella rozzezza tipica dei boss di Cosa nostra dello scorso secolo. Oggi le mafie preferiscono agiscono nel silenzio, fanno affari, si insinuano nel tessuto economico e sociale, fino a inquinane la vita di tutti noi, fino a condizionarla pesantemente. Le mafie hanno scelto strade meno rumorose dei colpi di fucile e dell’esplosivo. Anche se non ha perso il vizio di premere il grilletto, preferiscono indossare il colletto bianco».
«I dati della nostra regione sono inquietanti – ricorda Paolucci – l’Osservatorio per la sicurezza e la legalità della Regione Lazio ha censito 93 tra gruppi, clan, famiglie tradizionali, autoctone e narcotrafficanti. Queste famiglie hanno in comune i metodi mafiosi, che utilizzano per svolgere i loro loschi traffici».
«Lottare contro le mafie è un dovere quotidiano – conclude Paolucci – Mico è stato esempio di coraggio e onestà, che la nostra attività sindacale deve tenere alto ogni giorno. E’ per questo che abbiamo deciso di dedicare a Domenico la nostra sala riunioni e una mostra fotografica. Per la Uil, sia chiaro, chi muore per difendere i principi della legalità non nuore mai. E chi lascia parenti e amici non resterà mai solo».