Un’Europa preoccupata fa i conti con il nuovo corso della Polonia

Nel grande Paese centro-orientale crescono le manifestazioni di protesta contro il governo della premier Beata Szydlo, espressione del partito conservatore Diritto e Giustizia. Le obiezioni dell’Ue e quelle della Commissione di Venezia (Consiglio d’Europa). La ricerca di un equilibrio tra identità nazionale e integrazione continentale.

 

Le istituzioni europee, ancora segnate dai postumi della crisi economica e impegnate sul versante dell’emergenza-profughi, guardano preoccupate verso la Polonia. Sin dall’insediamento, il 16 novembre scorso, del governo monocolore della destra conservatrice (Prawo i Sprawiedliwosc – sigla PiS – Diritto e Giustizia) che ha in Jaroslaw Kaczynski il leader incontrastato, le istituzioni Ue e il Consiglio d’Europa hanno posto sotto osservazione talune scelte politiche e istituzionali ritenute in contrasto con i principi fondanti la democrazia e l’integrazione europea. Del resto anche la stampa internazionale e autorevoli istituti di ricerca e studiosi di diritto e di geopolitica hanno posto lo sguardo sul grande Paese dell’Europa centro-orientale, ritenuto un punto di equilibrio tra l’est e l’ovest del Vecchio continente, con un’economia di prima grandezza e una realtà sociale vivace e moderna.

Obiezioni e proteste. Le autorità di Varsavia sono state dunque sottoposte dapprima a obiezioni provenienti dalla Commissione Juncker e, più di recente, alla valutazione della Commissione di Venezia (commissione per la democrazia attraverso il diritto, organo consultivo del Consiglio d’Europa di cui fanno parte soggetti indipendenti provenienti da diverse nazioni, esperti in diritto costituzionale). Per ora, le osservazioni critiche e le raccomandazioni della Commissione di Venezia rimangono disattese dalle autorità di Varsavia. Nel frattempo lungo il Paese si contano crescenti manifestazioni di protesta, segnalando un inedito malessere politico verso il governo.

Visegrad, l’Ue e la Gmg. Occorre fra l’altro notare che alcune obiezioni provenienti dall’Ue riguardano l’atteggiamento di chiusura della Polonia rispetto all’emergenza-profughi: Varsavia si è infatti messa alla testa del cosiddetto “gruppo di Visegrad” che, rispolverando un’antica alleanza a quattro, raccoglie Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia in contrasto con la politica migratoria dell’Unione europea. Così, mentre il presidente Andrzej Duda raccoglie l’appoggio del premier ungherese Viktor Orban e del presidente della Repubblica Ceca Milos Zeman,

già ai primi di aprile Bruxelles potrebbe avviare nei confronti di Varsavia la seconda fase di verifica del rispetto dello stato di diritto.

Il 19 gennaio scorso la premier polacca Beata Szydlo è stata ascoltata dal Parlamento di Strasburgo, senza però convincere appieno l’Euroassemblea circa i dubbi sollevati in merito ai cambiamenti normativi e procedurali introdotti dall’esecutivo. La Polonia, dove a fine luglio si recherà Papa Francesco per la Gmg, potrebbe – come paventa l’eurodeputato Jan Olbrycht del Partito popolare europeo – in futuro vedersi al margine di importanti decisioni Ue o addirittura subire dei contraccolpi economici nel caso di una diversa impostazione delle politiche europee di coesione. Non va infatti dimenticato che la Polonia è, a tutt’oggi, il Paese che gode dei maggiori finanziamenti dal bilancio Ue.

Una interpretazione critica. “Jaroslaw Kaczynski è di fatto oggi il sovrano della Polonia”, afferma Piotr Buras, a capo dell’ufficio di Varsavia del prestigioso European Council on Foreign Relations. Il presidente della Repubblica Andrzej Duda e il primo ministro Beata Szydlo “fanno poco più che mettere docilmente in pratica le sue idee”, osserva il politologo. Il leader del partito di maggioranza assoluta Diritto e Giustizia “è convinto – secondo Buras – che la democrazia liberale, notoriamente fragile e vulnerabile, sia una struttura politica obsoleta in un mondo globalizzato e complesso”. Quindi ritiene “necessario

un governo forte che agisca in modo efficiente, a nome della maggioranza democratica

e che, se necessario, sia in grado di prendere misure drastiche per realizzare la volontà della maggioranza senza essere costantemente rallentato da ‘pesi e contrappesi’ del sistema liberale”. Per Buras la crisi istituzionale che in questi giorni vede la Corte costituzionale polacca in contrasto con il governo e il parlamento, restii a riconoscere l’autorità e l’indipendenza dei giudici, è “l’esempio lampante del nuovo corso della Polonia che, secondo Kaczynski, sarà capace di scongiurare minacce esterne solo se eviterà di arrendersi ai processi corruttivi dell’Occidente”. Buras è inoltre altamente preoccupato per le forzature dell’esecutivo nei confronti dei media pubblici.

La posizione della Chiesa. “In Polonia oggi è in atto uno scontro politico”, afferma al Sir il portavoce dei vescovi polacchi, don Pawel Rytel-Andrianik. La Chiesa cattolica, una voce di prima rilevanza nel Paese, al momento segue con attenzione le vicende interne. Dal canto suo l’arcivescovo di Varsavia-Praga, mons. Henryk Hoser, auspica

un cambiamento della Costituzione polacca e una soluzione della crisi costituzionale “per il bene dell’intera nazione” attraverso “il riconoscimento della ragione di Stato” da tutte le parti in causa,

le quali dovrebbero “tener presente che la legge sia al servizio dei valori fondamentali quali libertà, verità, giustizia e solidarietà”. Monsignor Tadeusz Pieronek, già segretario della Conferenza episcopale, sebbene approvi molte delle riforme del nuovo governo, rileva che “non vanno lodati i cambiamenti introdotti in un modo non rispettoso delle regole democratiche vigenti” e ammonisce che “i governanti non possono dividere il Paese ed essere sordi agli appelli della società civile”.