Una scuola di periferia

Scuola Elementare Cislaghi

Il 9 aprile è stato celebrato il ricordo dei martiri delle Fosse Reatine. Quindici persone che la violenza nazifascista trascinò lontano dalla città, in mezzo ai campi. Per loro era già pronta una fossa. Furono uccisi da un plotone di esecuzione. Nel gruppo c’era anche un ragazzo di Milano, neppure sedicenne: Giannantonio Pellegrini Cislaghi. Era partito nel gennaio ‘44 per combattere i nazifascisti. Entrò nella Brigata “Stalin” che operava nell’Italia Centrale, ed in particolare nel reatino. Fu catturato durante un rastrellamento e rinchiuso nelle carceri di Santa Scolastica. Da lì fu condotto al suo destino.

Il luogo in cui Giannantonio e i suoi compagni hanno trovato la morte, è oggi compreso nell’area della parrocchia del Sacro Cuore di Quattro Strade. All’epoca, al posto del quartiere c’erano solo i campi e qualche casolare.

Come tutte le periferie, anche Quattro Strade è stata edificata in modo discontinuo, disordinato, approssimativo. Delle periferie di Rieti ha condiviso, e in parte condivide, molti problemi: la lontananza, la marginalità, la mancanza di servizi. Ma non per questo mancano punti di forza. Uno è senza dubbio la parrocchia, edificata con tenacia da don Giuseppe Raccagni e animata oggi dall’instancabile don Mariano Assogna.

Ma ce ne è un altro, forse sottovalutato. E guarda caso porta proprio il nome del giovane martire Giannantonio Pellegrini Cislaghi. A lui, che era poco più che un bambino, è stata infatti dedicata la scuola elementare.

L’abbiamo visitata accompagnati dalla maestra Isabella, ed è stata per noi una piacevole scoperta. L’edificio è di prim’ordine, comodo e dotato di tutto quanto può servire alla didattica. C’è un’ampia palestra, un efficiente laboratorio informatico e un giardino per stare all’aria aperta. C’è persino una grande lavagna digitale, di quelle che si collegano ad un computer e permettono di gestire i programmi direttamente con le mani.

Non solo: c’è un notevole entusiasmo da parte delle insegnanti, e un’ampia proposta di progetti. La Cislaghi infatti ha un vero orto (con le fragole che hanno coltivato, i bambini fanno la marmellata, ci dice la maestra), ed è stato addirittura sperimentato un laboratorio di ceramica.

Capirete quindi il nostro stupore quando abbiamo scoperto che l’intero secondo piano della scuola è vuoto. Non ci sono gli alunni per formare le classi. Eppure nel quartiere i bambini non mancherebbero.

«La dinamica è un’altra – ci ha spiegato la maestra Isabella – il problema è che un buon numero di bambini vengono iscritti in altri istituti, fuori dal Quartiere».

Dietro questa scelta ci sono di certo questioni diverse. Forse il destino scolastico dei più piccoli è sempre meno legato al quartiere di residenza perché condizionato dai percorsi automobilistici dei genitori. Forse c’è pure un piccolo pregiudizio nei confronti di una scuola di periferia.

Va bene tutto, ma lasciateci dire che è un peccato. In fondo frequentare la Cislaghi vuol dire avere a che fare con la testimonianza di tante cose: con i valori della resistenza, con la storia del quartiere, con l’impegno dello Stato a dare il meglio ed essere presente anche nelle periferie.

Sono piccoli segni di quella democrazia che abbiamo conquistato anche a prezzo della vita di un quindicenne milanese fucilato in mezzo a un campo nei pressi di Rieti.