Assemblea Diocesana

Tra crisi e speranza, annunciare un Vangelo che fa ardere il cuore

Ha preso il via il 28 settembre l'Assemblea Diocesana della Chiesa di Rieti. Un partecipato momento di riflessione, per dare inizio all'anno pastorale, che ha visto il vescovo Vito affiancato dall'intensa relazione del teologo Francesco Cosentino

Salone pieno al Centro Pastorale diocesano per il primo giorno dell’Assemblea Diocesana. L’evento che da inizio all’anno pastorale ha visto convergere a Contigliano sacerdoti e diaconi, religiose e religiosi e tanti laici provenienti dalle parrocchie, dai movimenti ecclesiali, dalle associazioni. In tanti sono arrivati anche dalle zone più periferiche della diocesi, ed è un bel segno di unità della Chiesa reatina, del desiderio di riprendere il cammino tutti insieme, di inserirsi nel percorso della Chiesa universale per affrontare le sfide che il tempo impone.

Sfide che tengono vivi

L’ha sottolineato anche il vescovo Vito Piccinonna, accogliendo i convenuti all’apertura dell’incontro, sottolineando che, insieme al Vangelo, «proprio le sfide della storia ci tengono vivi, ci impediscono di vivere un cristianesimo apatico e primo di slanci». E se la convocazione dell’Assemblea afferma la volontà di far crescere il desiderio, non sempre scontato ed evidente, di camminare maggiormente insieme, questa s’inserisce nella prospettiva dell’«apertura imminente del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità», che «desidera farci entrare in una visione più unitaria e comunitaria, allargando gli spazi della comunione e del confronto a tutti».

Don Vito si è soffermato sul tema dell’Assemblea Diocesana: “Dare carne al Vangelo”. La frase è di papa Francesco e si riferisce a Maria. Era il 2016 quando in una celebrazione della festa della Madonna di Guadalupe, il pontefice spiegava che «Maria lotta per dare “carne” al Vangelo». Un invito a incarnare la sua Parola di Dio nelle proprie viscere, diventando segni vivi della sua misericordia. Ma anche un’espressione che può «accompagnare il cammino dell’ottavo centenario del Presepe», indicando «non solo il mistero dell’incarnazione, ma anche di conseguenza, l’impegno missionario che appartiene a tutta la Chiesa cercando di dargli più sostanza, più slancio, più fiducia, più credito».

Tra crisi e speranza

Per iniziare a riflettere su questo complesso di temi, è stato chiamato don Francesco Cosentino, sacerdote della diocesi di Catanzaro-Squillace, docente di teologia fondamentale alla Pontificia Università Gregoriana e ufficiale della Segreteria di Stato. Tra crisi e speranza, annunciare un Vangelo che fa ardere il cuore, il titolo scelto per la sua relazione. E nell’affrontare il tema il teologo non ha nascosto nulla delle fratture, delle criticità, della fatica che sta vivendo la Chiesa oggi. Ad essere in crisi, ha detto, è il cristianesimo stesso. Ed è un problema che si trascina da tempo se già nel 1944 Dietrich Bonhoeffer ragionava sul problema. Ma non senza immaginare che un inizio di soluzione potesse essere nel prenderne atto e quindi trovare un linguaggio nuovo per l’annuncio in un mondo non più religioso.

Proprio in questa prospettiva teologica, oltre che pastorale, si è inserito il discorso di Cosentino, invitando a non fermarsi alla crisi, ma a lasciarsi interrogare da essa, a vedere quale domande suscita, a comprendere che le crisi sono inviti al cambiamento. «Qualcosa si frantuma perché qualcosa rinasca»: il risvolto della crisi è sempre la speranza di qualcosa di nuovo che sorge. «La crisi e la speranza sembrano due cose completamente diverse – ha sottolineato il sacerdote – ma una lettura non soltanto di fede e quindi spirituale, ma anche teologica, ci aiuta a leggerle non soltanto insieme, ma addirittura a leggerle in modo che una sia il risvolto dell’altra».

Guardare in faccia la realtà

Il cuore del problema è che l’esperienza cristiana come è stata tramandata nei secoli, soprattutto in Occidente, sembra non tenere più. «Molte persone oggi faticano a integrare la Parola liberante del Vangelo nelle sfide quotidiane della loro esistenza. Il rischio è che la coerenza della fede si riduca alla debolezza di un credere superficiale, puramente formale o folkloristico. Molte persone hanno abbandonato la fede e non per un’idea o un pensiero contrario e ostile, come nel tempo dell’ateismo di qualche decennio fa, ma per apatia, per indifferenza alla domanda di Dio».

Una bussola che porta lontano

Il fenomeno è radicale, ma basta questo per spingere alla resa? «La Scrittura è un libro pieno di crisi. Abramo va in crisi, Mosè va in crisi, i profeti vanno in crisi. Alcuni si vogliono addirittura suicidare. Gli apostoli affrontano le crisi», ha sottolineato Cosentino, per dire che a dispetto del disincanto, «la crisi è una bussola che ci può portare molto lontano» e molto spesso «la felicità è dietro le cose che ci hanno ferito». Certo, il passaggio è tutt’altro che indolore. Chiama a rinunciare a ciò che si conosce e si è sempre fatto, alla comfort zone della consuetudine. Obbliga a studiare i segni dei tempi, a non addormentarsi sull’esistente, a non cedere all’inerzia.

Liberare la brace del Vangelo

Ma d’altra parte cos’è il cristianesimo se non un’inquietudine che non fa stare fermi, che obbliga sempre a mettere in discussione il mondo, a stare sempre in cammino? Se la fede ci dice che Dio è più grande, che la storia della salvezza è più grande di quanto possiamo percepire e immaginare, si può certamente confidare nella possibilità di strade nuove, nella creazione di nuovi percorsi. Si può recuperare l’urgenza dell’evangelizzazione, risvegliare il fuoco ardente del Vangelo e non accontentarsi di conservare l’esistente. «Anche dove la cenere è tanta, sotto può esserci ancora della brace e il fuoco può essere ravvivato», ha spiegato il teologo ricorrendo a una bella immagine di Martin Werler.

Tre sfide

Per poi mettere sul tavolo tre sfide: Riaprire la questione Dio, Essere Chiesa in modo nuovo e Ritornare alla passione del Vangelo. Occorre cioè interrogarsi su quale sia il Dio dal quale si è congedato il nostro tempo: «È davvero il Dio di Gesù oppure una sua immagine distorta? Primo compito dell’evangelizzazione è liberare l’immagine di Dio dalle incrostazioni e deformazioni. La crisi ci fa scoprire un Dio amico». E a questa conquista intima nel cuore dei cristiani non può che conseguire un cambiamento esteriore, nel «modo, stile, forma dell’essere Chiesa. C’è bisogno di una Chiesa umile, ospitale, in cui ciascuno si sente a casa, ha libertà di parola, trova un sentiero per arrivare a Dio». Ma come posso accadere questi cambiamenti se non cambiando linguaggio? «Il messaggio cristiano e i linguaggi che lo veicolano trafiggono il cuore? Inquietano? O hanno perduto potenza ed efficacia?».

Dopo aver sferzato l’uditorio con domande radicali e dure provocazioni, Cosentino ha rassicurato i presenti: «Non saremo gli ultimi cristiani, ma siamo certamente gli ultimi di tutto uno stile di cristianesimo». Un’annotazione subito verificata dalla vivacità degli interventi e delle domande dei presenti, che hanno sollevato interessanti questioni sul rapporto tra sacramentale e pastorale, sulle forme dell’annuncio, sui temi morali ed esistenziali che oggi albergano nei cuori dei fedeli. Sollecitazioni raccolte dal vescovo Vito e dallo stesso Cosentino, in un dialogo che ha accompagnato fino ai saluti e alla promessa di rivedersi l’indomani.