Testimoni di Geova: oltre lo stadio

Si è svolto in città negli scorsi giorni, con una certa attenzione da parte dei media ed un esplicito apprezzamento dell’Amministrazione comunale, un grande congresso dei Testimoni di Geova del centro Italia. L’evento ha portato in città un gran numero di fedeli al movimento religioso, ma poco o nulla si è detto degli argomenti che muovono queste persone. Non si è spiegato cosa esattamente credano, né si è presentato qualcosa dello stile di vita di questi cristiani “sui generis”, nonostante le differenze notevoli con la nostra tradizione, che restano e che pongono seri interrogativi su questa realtà.

«Lo stereotipo dei Testimoni di Geova è quello di persone vestite a modo, che suonano il campanello di casa in casa e riviste alla mano propongono con fare gentile ed educato di conoscere meglio la Bibbia o scoprire “il vero nome di Dio”» spiega don Marco Tarquini, che per la diocesi di Rieti si occupa di evangelizzazione, catechesi e dialogo ecumenico. «Talvolta attaccano bottone chiedendo: “Cosa dite di questo mondo pieno di violenze e di immoralità? Non avete paura per voi e per i vostri figli?”, ma rassicurando sul fatto che questo malvagio stato di cose sta per concludersi: “la fine del mondo è imminente!”. Più propriamente si tratta di un movimento religioso fondato da Charles Taze Russell, un ricco commerciante americano, nel 1852. Pur non avendo alcuna preparazione scientifica, né conoscenza delle lingue in cui sono scritti i testi originali della Bibbia, si diede allo studio dei libri sacri con un gruppo di amici. Sostenevano che Russell avesse rivelato al mondo il vero significato della Sacra Scrittura, che fino allora nessuno – proprio nessuno – era riuscito a penetrare».

«Questo primo nucleo – prosegue don Marco – ebbe poi grande sviluppo tra le due guerre, sotto la guida di Joseph Franklin Rutherford. Nel 1931 i seguaci presero il nome di “Testimoni di Geova” rifacendosi ad Isaia 43,10: “Voi siete miei testimoni”. “Geova” è una lettura sbagliata delle quattro lettere con cui l’originale ebraico della Bibbia scrive l’impronunciabile nome di Dio: YHWH. Gli studiosi da tempo hanno dimostrato che la lettura giusta di tali consonanti è YaHWeH (Iahvè); solo i Testimoni si ostinano a leggere YeHoWaH (Geova), perfino quando la Bibbia usa un altro termine. In generale, la Chiesa cattolica e altre confessioni cristiane non riconoscono la dottrina dei Testimoni di Geova come cristiana. Da parte loro i Testimoni di Geova considerano “falsa” ogni altra religione e non partecipano al dialogo ecumenico, ai tentativi di avvicinamento e di reciproco arricchimento che vediamo con il protestantesimo, o più in generale allo scambio interreligioso».

Eppure sui giornali negli scorsi giorni si è letto che l’iniziativa allo stadio “Scopigno” è stata condotta «“Bibbia alla mano”, come fanno da sempre i testimoni di Geova». Dunque cosa distingue il loro credo da quello dei cattolici?

I Testimoni di Geova si discostano dalle confessioni cristiane per una serie di eresie. Rifiutano la Trinità, non considerano Gesù uguale a Dio ma lo identificano con l’arcangelo Michele, e negano la natura spirituale e immortale dell’anima. Inoltre negano tutti i Sacramenti a cominciare dal Battesimo. È vero che allo Stadio Scopigno si sono viste alcune immersioni  in piscina, ma quello non è il battesimo voluto da Gesù, dato cioè «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». È piuttosto una «pubblica dimostrazione attestante che la persona ha fatto una solenne dichiarazione a Geova e si presenta per fare la sua volontà». Quanto alla Bibbia, la loro interpretazione della Sacra Scrittura è stata accusata di essere «letterale e fondamentalista, e persino falsificante» dalla Conferenza Episcopale Italiana. Molti esperti hanno avanzato perplessità attorno alla “Traduzione del Nuovo Mondo” delle Sacre Scritture, trovandola piuttosto infedele al testo originale o riadattata per adeguarla alla dottrina del movimento. Per fare un esempio: il Vangelo di Giovanni dice: «Il Verbo era Dio» (1,1), i Testimoni di Geova traducono: «La Parola era un dio»…

L’ordine e la compostezza riscontrate durante l’iniziativa allo stadio di Rieti hanno raccolto una certa ammirazione. Ma che rapporto hanno i Testimoni di Geova con la società in cui vivono? E internamente? Molti fuoriusciti dalle congregazioni raccontano di situazioni problematiche. Pare ci sia addirittura il divieto – persino per i familiari – di parlare e di avere contatti con persone che si sono o sono state allontanate dalle congregazioni…

In generale la visione sociale dei Testimoni di Geova sembra caratterizzata dal rifiuto di ogni partecipazione politica, comprese le elezioni di qualunque genere, il servizio militare e anche quello civile. Nell’attesa della fine del mondo, ai Testimoni è chiesto di limitarsi a osservare le leggi che non siano in contrasto con la loro dottrina e i loro interessi. Quanto al tema del cosiddetto “ostracismo” dei Testimoni mi limito a rilevare che sul tema esistono diverse testimonianze. Stando ai racconti, chi lascia la Congregazione viene isolato, ignorato dalle persone che ha frequentato per una vita; viene interrotto qualsiasi rapporto sia parentale sia amicale. Sull’argomento invito a cercare su YouTube le puntate della trasmissione “Vade Retro” di TV2000 che hanno per ospite Marco Politi, ex anziano dei Testimoni di Geova.

I Testimoni di Geova conducono una insistente campagna di proselitismo, anche nella nostra città. Come dovrebbero comportarsi i cattolici? E che consiglio dare a persone che invece non hanno forti convinzioni religiose?

I Testimoni di Geova sono formati molto bene per fare proselitismo. In questo sono molto più bravi di noi cattolici! Fanno leva sulla conoscenza della Sacra Scrittura, naturalmente nella loro versione. La strategia adottata in linea di massima è sempre la stessa: un percorso di avvicinamento che parte dal citofono e trova il suo culmine nel battesimo, secondo un programma studiato in modo da non dare spazio e respiro alla riflessione individuale. Mi è capitato alcune volte di avere i Testimoni alla mia porta: li ho sempre accolti con cortesia e a volte fatti entrare: non dobbiamo aver paura di confrontarci sul piano dottrinale. Al di là della loro presenza alle porte delle nostre case, credo che noi cattolici dovremmo avere molta più familiarità con la Parola di Dio. Come diceva San Girolamo, «L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo». Alle persone che non hanno forti convinzioni religiose, invece, mi sento di ricordare che la Chiesa cattolica, pur con tutte le sue fragilità e mancanze, rimane la Comunità dei credenti voluta da Cristo, nella quale Gesù Risorto è presente e vivo nella Parola, nei Sacramenti e nei fratelli che si riuniscono. La Chiesa è una madre capace di accogliere, amare e mostrare la tenerezza di Dio.