Terza età. Non è una prigione

Vecchio. Di tutte le parole che si possono usare per indicare l’età avanzata questa è la più cruda e diretta, spesso sgradevole e utilizzata come un insulto. Eppure assume delle sfaccettature ironiche o poetiche, precluse al termine anziano che è politicamente corretto ma anche ipocrita e strumentale a volte. Per questi motivi ci riserviamo di usare entrambe le espressioni.

E usarle per parlare dell’incontro formativo promosso dall’Ufficio per la Pastorale della Salute della Diocesi di Rieti, che si è svolto il 9 novembre presso l’Auditorium Varrone, con il tema: “L’anziano una stagione preziosa del vivere. Una risorsa per la Società e per la Chiesa”. Sono intervenuti rappresentanti delle istituzioni sanitarie, amministrative ed ecclesiali.

Data l’importanza dell’argomento abbiamo pesato che le opinioni di due giovani reatini potevano integrare la discussione. Considerando che il vero problema è l’emarginazione vissuta da chi arriva alla vecchiaia solo e malato.

Uno dei fattori di cui tener conto è la concezione statica dell’esistenza che diamo per scontata. Le tre età della vita sarebbero relegate rispettivamente a: formazione, lavoro e riposo. Cosicché da zero a venti-venticinque si deve studiare e qualificarsi, fino ai settanta circa si lavora e poi “un meritato riposo”. Che sia una visione approssimativa è evidente. Ad esempio fare percorsi di apprendistato già alle superiori facilita l’ingresso nel mondo del lavoro, e d’altronde solo una formazione costante e continua permette di stare al passo coi tempi.

Ma è la terza età che potrebbe svilupparsi verso una piena realizzazione. Insegnare ai giovani un mestiere, magari affiancandoli qualche ora sul posto di lavoro, o anche riprendere gli studi, sulla spinta di nuove consapevolezze e curiosità. Cose che sono svolte già da molti anziani senza però il riconoscimento istituzionale che meriterebbero. E soprattutto mancano strumenti e strutture che spingano in questa direzione, creando un circolo virtuoso tra le generazioni.

A questo riguardo l’interesse politico in teoria non mancherebbe dato il peso elettorale sempre più rilevante degli over sessantacinque. Per non parlare della gerontocrazia che però riguarda una piccola minoranza di potenti, non certo poveri vecchietti. Il problema è che vengono difesi alcuni privilegi, come le pensioni d’oro, con un intento conservativo più che propositivo. L’effetto è che quando bisogna tagliare fondi i primi a essere colpiti sono loro, soprattutto nell’assistenza. La pressione politica potrebbe invece essere indirizzata verso le riforme, perché se la rivoluzione è ormai cosa vecchia, i vecchi devono diventare rivoluzionari.

Un’altra potenzialità inespressa riguarda il recupero delle tradizioni del passato che rischiano di scomparire. Molti ragazzi sarebbero entusiasti di riscoprire usanze del paese in cui sono nati, le vecchie ricette della nonna o quelle attività artigianali che tanto a impreziosiscono i nostri borghi. Tutto se solo avessero qualcuno disposto a fargli conoscere queste realtà. Per gli anziani rappresenterebbe un’occasione di svago e un motivo d’orgoglio, togliendo la memoria dal monopolio della nostalgia.

C’è, tra le tante, una canzone illuminante sul periodo finale della vita. Stiamo parlando di “è non è” di Nicolò Fabi che contiene magnifiche definizioni di vecchiaia come “E’ una passione giocosa/un buon sentimento” oppure “E’ il filo di un aquilone/un equilibrio sottile”. Dall’altro versante descrive che cosa non è: una sfida, una rivalsa, la vittoria, l’applauso del mondo e infine “Non è un dovere dovere invecchiare”. Noi ci permettiamo di aggiungere che non è una prigione o una gabbia sempre più stretta ma una piccola porta verso nuove opportunità.

Per finire pensiamo che tutti in un modo o nell’altro abbiamo rapporti con persone di una certa età e ciò è sufficiente per capirne le fragilità, le debolezze ma anche le energie nascoste, appena al di sotto delle stanche rughe. Le energie nascoste come le radici che trasmettono linfa vitale all’albero e lo sostengono, nonostante la stanchezza. Tronco, foglie e rami quasi se le dimenticano, cullandosi nell’illusione di un’eterna giovinezza. Chi è veramente debole e fragile?

di Caterina D’Ippoliti e Samuele Paolucci