Sicurezza stradale: meglio dare l’esempio

Domenica 12 novembre si è concluso con la messa presieduta dal vescovo il percorso pensato da Ufficio diocesano per la Pastorale della Salute e dall’Ufficio Scolastico provinciale per la celebrazione della “Giornata Mondiale Onu in ricordo delle vittime della strada”. Iniziata con una manifestazione al PalaSojourner che ha coinvolto circa 2000 studenti, il progetto ha vissuto l’11 novembre una tappa intermedia con l’incontro formativo svolto presso l’Auditorium Varrone. Da questo appuntamento proponiamo la riflessione di Mariangela Treglia, psicoterapeuta e ricercatrice dell’ Istituto di Terapia Cognitiva Interpersonale, su «Condotte fuori controllo e consapevolezza delle conseguenze»

Sono le 8 del mattino e sono imbottigliata nel traffico lungo una delle vie principali della capitale, le macchine stentano a camminare e diversi semafori verdi davanti a me si alternano, ma la mia posizione nel traffico resta invariata: rischio di arrivare all’appuntamento. Pochi metri più avanti scorgo tra le macchine la polizia municipale che, ferma al centro della via con le volanti oblique, devia il traffico su un’altra strada. Capisco in una manciata di secondi che è successo qualcosa di grave.

Quando è giunto finalmente il mio momento di svoltare, una rapida occhiata dà un senso al triste epilogo di quella mattinata di un weekend iniziata nel traffico: un altro grave incidente, un’altra vittima o forse più di una: le lamiere contorte saranno presto rimosse, resterà un lampione piegato, dei vetri per terra, e forse un altro mazzo di fiori comparirà presto legato all’albero più vicino.
Il mio viaggio prosegue ma nella mia mente continuano a ripetersi quelle immagini forti. Mentre faccio colazione in un bar ascolto il sottofondo della radio che da tutti i particolari dell’ennesimo incidente che ha coinvolto giovani, anzi «giovanissimi». Solo il giorno seguente sui giornali quell’incidente avrà dei volti, delle storie, delle vite interrotte in quel dato giorno su quel dato posto. Attraverso un “orrificio mediatico” al quale siamo sempre più abituati leggo di ragazzi che con buona probabilità erano sotto effetto di alcol o di sostanze stupefacenti.

Ma l’aspetto più inquietante di tutta questa storia lo sento in tutti quei terribili commenti tesi a disumanizzare la vittima che non viene più intesa come tale ma, impoverita di tutto il suo significato, dei suoi contorni umani, della sua storia personale, emozioni e sentimenti. Ed ecco che il rispettoso silenzio viene sostituito da solenni sentenze come se ognuno si ergesse a giudice delle coscienze collettive: il commento più spietato sembra essere l’unico modo per giustificare a se stessi e agli altri fatti drammatici.

Tutto ciò è ancor più enfatizzato ed esasperato dal mondo del virtuale, un vero e proprio porto franco dove l’assenza di dazi sembra rendere legittimo qualsiasi pensiero e qualsiasi commento. Colpita dall’analfabetismo emotivo che il mondo virtuale riesce a rivelare, continuo a pormi delle domande sulla questione degli incidenti gravi e delle vittime della strada e mi rendo effettivamente conto che l’Italia, come paese in Europa, è disciplinata da un codice stradale rigoroso e ben strutturato, basti pensare al recentissimo reato di “omicidio stradale” introdotto nel codice penale nel 2016.

Allora, che cosa sta succedendo? Come mai, in barba a tutti i divieti, alle sanzioni, ai limiti di velocità, al ristrettissimo consumo di alcol ammesso per poter guidare, gli incidenti e le vittime sulla strada non sembrano diminuire? Forse qualcosa continua a sfuggirci, forse non bastano regole rigidissime, da sole, a tutelare noi e i nostri giovani o a evitare tali tragedie. Bisognerebbe andare oltre e volgere lo sguardo ai giovanissimi, agli adolescenti, ma dalla prospettiva di adulti maturi, capaci di custodire, rappresentare e offrire un modello da seguire, oggi più che mai.
In un’epoca nella quale la nostra società si muove all’interno di una cornice storica caratterizzata da una straordinaria crisi antropologica e culturale, nella quale i valori umani costruiti in secoli di storia vanno verso la desertificazione, l’adulto responsabile ha un ruolo determinante nel fornire al giovane la consapevolezza della quale ha bisogno per diventare adulto a sua volta. Un ruolo che si esplica aumentando la propria attenzione intorno al giovane, non solo nell’ambito della famiglia, ma anche e soprattutto attraverso nuovi patti di corresponsabilità con le agenzie educative e le altre istituzioni. Solo in questo modo potrà essere restituita a chi cresce una cornice sociale e culturale solida, che potrà dargli un senso di unitarietà con il prossimo e condurlo verso il difficile processo di consapevolezza e autonomia.

La patente con la sua validità legale, semplicemente permette a chi la consegue di mettersi alla guida di un veicolo. Essa non dà al giovane la consapevolezza di ciò che ora potrà fare. Un giovane che sta per diventare adulto dovrebbe avere la capacità di darsi delle regole, dimostrando di aver introiettato un modello normativo, un’etica solida nella quale i primi valori sono il rispetto di se stesso e degli altri, della vita, della sofferenza, dei principi umanitari alla base di rapporti sociali civili e “cristiani”. Solo un adulto responsabile in grado di contenere e superare l’elefantiasi dell’io adolescenziale può mediare questo rito di passaggio.

In che modo dovrebbe essere aiutato in questo processo fondamentale un giovane? Le norme restrittive, le sanzioni fino alla condanna hanno sicuramente una valenza legale insostituibile in una società ben regolamentata, tuttavia prima di arrivare ad esse, bisognerebbe “educare” i giovani offrendo loro dei modelli responsabili e autentici. Correggere, redarguire, punire un giovane non lo porta necessariamente ad assumere comportamenti responsabili. Davanti a un consiglio, i giovani abbassano le orecchie, davanti a un modello spalancano gli occhi.