Scaviamo buche, poi riempiamole

Non so se ci avete fatto caso, ma in ogni polemica che nasce attorno alle opere pubbliche da fare o da non fare, i sostenitori del “Sì” hanno sempre un argomento.

Più o meno suona così: «in questo momento di grave crisi, l’opera porterebbe in circolazione milioni di euro e decine (centinaia, migliaia – secondo i casi) di posti di lavoro. Il che offrirebbe una bella boccata di ossigeno all’economia locale».

Che si parli di costruire una struttura inquinante a due passi dall’ospedale, una scuola vicino a un rigassificatore, un super centro commerciale che supera ogni parametro del piano regolatore non importa. Persino gli equilibri ambientali delle montagne possono essere compromessi.

Tanto, raramente si va a vedere le questioni nel merito. Non si discute quasi mai si se possa fare meglio o se qualche volta sia addirittura meglio fare meno o non fare affatto.

Con la crisi che morde, l’argomento preferito degli alfieri del “Sì” a prescindere pare sia sempre quello dei soldi, seguito dal mito del lavoro e dello sviluppo.

Qualcuno dirà che si spinge sempre sullo stesso tasto perché certe opere hanno il vantaggio di aiutare i manovratori a pilotare assunzioni e dispensare favori. Con l’austerità, infatti, le clientele si assottigliano e un certo sistema potrebbe finire col risentirne.

Sarà vero? Mah, noi di queste cose non capiamo nulla, e poi crediamo alla buona fede di tutti. Però ci piacerebbe vedere i nomi che contano ragionare attorno all’utilità dei progetti con argomenti che vadano un’ po oltre la ricaduta economica immediata.

Altrimenti conviene seguire il consiglio di quel geniaccio di John Maynard Keynes. Secondo il grande economista inglese, in periodo di crisi lo Stato dovrebbe pagare i lavoratori disoccupati per scavare una gigantesca buca e poi riempirla. In questo modo i lavoratori avrebbero un salario e potrebbero spendere; attorno alla buca si creerebbero negozi ed osterie ed infine l’economia potrebbe risollevarsi.

Noi che ci sentiamo un po’ keynesiani ci allineeremmo volentieri. Anche perché con questa strategia, alla fine della manovra, sul territorio non rimarrebbero opere inutili, dannose o inopportune.

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