Riformare e garantire buona amministrazione

Il 5 agosto del 2011 la Bce chiedeva all’Italia un profondo processo di innovazione. Quell’agenda non ha perso di attualità, anzi. Non è questione di destra o di sinistra, di Berlusconi sì o no. Siamo di fronte ad una grande questione nazionale.

L’Italia ha bisogno di riforme. O, più esattamente, ha bisogno che apparati e strutture funzionino al meglio, in qualunque modo si configurino gli equilibri politici. Perché sono al servizio dei cittadini. E dunque occorre intervenire. Questo vale in particolare per la pubblica amministrazione, uno dei temi all’attenzione del governo in questi giorni pure molto complicati. In qualunque direzione evolva il quadro politico, tuttavia bisognerà fare i conti con questo tema.

Non è un caso che proprio le questioni relative alla pubblica amministrazione e più ampiamente ai pubblici apparati (ivi compreso quello giudiziario) siano state al centro della famosa lettera dei vertici della Bce di cui si è ricordato da poche settimane il secondo anniversario. Il 5 agosto 2011, quando la crisi italiana giungeva al culmine, Trichet e Draghi scrivevano: «Le sfide principali sono l’aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro».

Tra le misure da prendere a breve consigliavano di «valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover e, se necessario, riducendo gli stipendi». Infine incoraggiavano «il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’è l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali».

Così si legge nella “agenda” del 5 agosto 2011, che non ha certo perso di attualità: la “troika” (Bce, FmiI e Ue) l’ha imposta di recente in termini anche più duri alla Grecia, dopo un lungo tira e molla. Il punto non è fare finta di nulla, ma fare i conti con questo quadro in modo responsabile, sostenibile sia in termini sociali, che culturali e politici. Senza applicare meccanicamente ideologie privatiste e liberiste che si sono rivelate astratte, ma superando decisamente il perverso mix di statalismo e clientelismo, nostro atavico handicap, che ora naviga tra sprechi e pensioni o stipendi d’oro.

Due cose sono da fare: sviluppare i patrimoni di professionalità, spesso demotivate del pubblico impiego e aprirlo ai giovani, che cercano lavoro. Non è questione di destra o di sinistra, di Berlusconi sì o no. Siamo di fronte ad una grande questione nazionale.

Né possiamo permetterci di avvitarci sulle nostre contraddizioni senza prendere decisioni. Il livello europeo, magari male, comunque deciderà per noi.