Rieti, una città di morti viventi

Immaginate che i morti si risveglino, immaginateli violenti e sanguinari, e immaginate che il tutto accada a Rieti… se non ci riuscite non importa. Ci ha pensato per voi Nicola Furia.

Il mondo è preda dei morti viventi. Anche a Rieti si cominciano a vedere i primi zombie. I vertici della città sono riuniti in Prefettura. Si cercano contromisure, ma è già troppo tardi.

Il primo a trasformarsi in zombi è il vescovo, che assale il suo segretario. Poi attacca il Questore, il Prefetto, i comandanti di Polizia e Guardia di Finanza. Il comandante della Municipale gli sfugge nascondendosi sotto il tavolo. Solo il colonnello Furia, comandante dei Carabinieri, mantiene il sangue freddo. Si salva sparando un colpo in testa a tutti. Ma ormai è assalito da una lucida follia: vuole guarire il mondo approfittando dell’apocalisse. E intende cominciare la sua assurda impresa proprio da Rieti.

Se vi sembra un romanzo horror ci avete azzeccato. Si tratta della trama di “Diario di guerra contro gli zombi”, opera “di genere” ambientata a Rieti e pubblicata dalle edizioni Rei. Il racconto è firmato da Nicola Furia, pseudonimo di un ufficiale dei Carabinieri in congedo e docente di Criminalistica. Incuriositi da un’opera così atipica lo abbiamo intervistato.

Nicola, come ti è venuta l’idea di questo romanzo?

Sono stato sempre appassionato di storie horror… ed in particolare di quelle sui morti viventi. Ho iniziato per gioco iscrivendomi ad un blog. Si sperimentava la scrittura collettiva…

Poi ti sei lasciato prendere la mano…

Diciamo di sì. Nel blog si ipotizzava che nel mondo fosse scoppiata una pandemia degli zombi. Ogni iscritto al progetto doveva raccontare come avrebbe reagito. Non bisognava inventare il personaggio: l’impegno di ognuno era di raccontarsi per come si è veramente.

Quindi il carabiniere fa il carabiniere…

Esatto. Io mi trovavo nella posizione di non essere il classico sopravvissuto, isolato e disperato. Avevo una sorta di piccolo esercito a mia disposizione. Di conseguenza potevo fare qualcosa di più che tentare di sopravvivere. Si apriva la possibilità di aiutare i cittadini a superare l’olocausto.

Ma a leggere il romanzo non sembra che il Colonnello Furia sia esattamente uno “stinco di santo”

Assolutamente no! Non lo è affatto. Ho sempre odiato gli eroi senza macchia e senza paura. Amo gli antieroi… i perdenti. E comunque, per sopravvivere nella situazione in cui l’ho calato, il personaggio non ha avuto scelta. È stato costretto a prendere scelte drastiche e inumane. Impedire l’accesso alla gente che chiede aiuto è una di queste. Se fai entrare i contagiati è finita ancora prima di iniziare. Se disperati tentano di forzare i cancelli… che altro rimane da fare se non sparare ad altezza uomo? Sono scelte difficili. Il protagonista le prende assumendosene le responsabilità e fronteggiando i rimorsi.

Un horror con problemi di coscienza!

Il mio racconto rientra nel genere horror. È una sorta di thriller post-apocalittico. Ma c’è anche il tentativo di dare vita ad un romanzo psicologico, introspettivo, crudo e spietato, politicamente scorretto. In qualche modo l’apocalisse è l’occasione per muovere critiche alla società iniqua e alla natura umana, egoista e prevaricatrice.

C’è il mondo reale sullo sfondo? Ci sono situazioni nelle nostre società che richiamano a questa crudezza?

C’è l’Italia che conosciamo come sfondo, con le sue storture, la corruzione, l’iniquità, i privilegi. Prima dell’apocalisse il protagonista ha pagato a caro prezzo certe indagini sui potenti fatte in Campania e Basilicata. Nel suo delirio, arriva addirittura a sostenere che l’apocalisse dei morti viventi è una benedizione per il genere umano. Una sorta di anno zero per rimettere in ordine le cose: non sopravvivono i potenti, i raccomandati, i lacchè. Sopravvivono solo i più bravi. Non è questa la vera meritocrazia?

Beh, capita che i più bravi siano anche potenti, raccomandati e lacchè. Spesso la realtà è contraddittoria. Non sarà che per capire la società bisogna usare strumenti più complessi della legge della giungla?

Non nel mondo del Colonnello Furia! I più bravi sono quelli capaci di disumanizzarsi… di tornare alle origini selvagge, alla legge del più forte. I potenti della società pre-apocalittica, rimasti senza ruffiani e portaborse, sono facili prede degli zombi. I morti viventi non fanno differenze. Quando ti mettono all’angolo non gliene frega niente se sei un onorevole, un banchiere o un generale…

Tenere i contagiati fuori dalla porta per conservare la propria quota di benessere. Mi vengono in mente i poveri clandestini, gente che si tende a rifiutare perché contagiata dalla povertà…

No, Furia non fa queste differenze… anzi. Le persone che decide di salvare per prime sono quelle più umili. Ma non per una ritrovata bontà, non segue un istinto umano. Il suo è un problema tattico, tecnico, strumentale. Salva per primi i contadini perché gli servono. Vuole rendere Rieti completamente autarchica. Non a caso per ultimi vengono salvati i burocrati, gli avvocati, i politicanti. «A che serve un avvocato in un olocausto?» si chiede il progonista. E ovviamente dalle sue critiche spietate non si salvano neanche i vertici dell’Arma.

O si è viscidi o si diventa disumani. Il bene che fine fa?

Nel libro i concetti di bene e male… sono relativi. Non ci sono personaggi buoni e personaggi cattivi.

Ma è solo fiction o allude alla realtà? Un certo relativismo etico sta attraversando anche il nostro mondo. È un bene? Lo dobbiamo accettare o contrastare?

Nel romanzo, per fortuna, rimaniamo nel campo della finzione. Ma la fiction allude palesemente alla società attuale, alla perdita di valori. È proprio questo che Furia non accettava nel mondo che precede il caos. E a poco a poco lo prende un vortice di pazzia. Inizia ad immaginare di poter salvare il mondo, di poterlo ricreare… a sua immagine e somiglianza. Ma nel tentativo di sostituirsi a Dio finisce con l’andare del tutto fuori di testa.

Nonostante le pretese e i successi, Furia ha qualcosa del provinciale. È tragicamente ridicolo perché si pone obiettivi che sono inesorabilmente al di là della sua portata. In questo senso mi sembra azzeccata l’idea di ambientare il romanzo a Rieti. Anche la città continua ad inseguire sconclusionate prospettive internazionali, quasi non sappia rassegnarsi ad essere quello che è…

È vero, per certi versi Furia è un personaggio odioso. Ma paradossalmente la maggior parte dei lettori alla fine lo assolve.

E gli zombi, invece, chi sono?

Gli zombi sono esseri puri… spinti da istinti primari. Fanno paura ed inquietano perché a conti fatti risultano più “umani” dei viventi…

Perché sono semplici, perché la loro natura non è corrotta dalle complicazioni della società? Se è così, sembrano avere molto in comune con Furia…

Infatti. Hai centrato il punto. Ma per capirlo appieno bisogna andare fino in fondo alla storia…

Nel tuo libro sembrano esserci solo personaggi negativi: l’umanità è divisa in zombi, in viscidi opportunisti e in eroi disumanizzati. Come ci si salva?

… e chi ha detto che ci si salva?

Ma è possibile che non ci sia nulla di buono nell’uomo?

No, qualcosa di buono c’è. Il racconto non ha un finale pessimista. Quello che a prima vista pare negativo, se confrontato con l’ipocrisia dominante, alla fine risulta vincente.

Che dire amici lettori? Non ci resta che affrontare il romanzo!