Rieti-Damasco: così vicine, così lontane

Rieti-Damasco: 3.311 km. Da percorrere in 42 ore. Questa la distanza materiale che ci separa dalla Siria, Paese mediorientale balzato agli onori della più recente cronaca perché martoriato dalla guerra civile. Pressoché infinita la distanza ideale tra le rispettive e millenarie culture e storie. Eppure, due destini intrecciati: “molto forte, incredibilmente lontano”, parafrasando il titolo di un famoso libro sull’11 settembre. Sono infatti proprio le distanze di cui sopra a rendere conto della tragedia siriana.

Da due anni a questa parte ribelli e governo combattono una guerra sanguinosa, tra loro ma soprattutto di fatto contro la popolazione civile che sta pagando il prezzo più alto. Due milioni di profughi, 110.000 morti (di cui 40.000 civili), il fondato sospetto dell’utilizzo di armi chimiche, che ha recentemente scatenato le reazioni internazionali; immagini raccapriccianti, che sembrano uscire dal migliore film catastrofico. E, the last but not the least, il dramma di orfani e profughi (soprattutto bambini) sta dando vita ad una generazione perduta, disperata. Questo il bilancio provvisorio.

Le ragioni del contendere: accusa di terrorismo da parte del presidente Bashar al-Asad verso i ribelli, che a loro volta dichiarano illegittimo il governo in carica. Tutto in un Paese autoritario, con violente divisioni religiose e infiltrazioni qaediste nei ranghi dei ribelli. A completare il quadro, si staglia la questione mediorientale sullo sfondo, che vede l’Iran primo alleato siriano e Israele a temere ripercussioni dai pericolosi vicini.

Ma è lo scacchiere internazionale quello più teso. Da una parte Russia e Cina che difendono il regime e scoraggiano qualsiasi intervento militare; dall’altra USA e Francia, propendono per un intervento immediato. In questo quadro Italia e Germania si limitano ad attendere una risoluzione delle Nazioni Unite, mentre il Parlamento britannico ha bocciato il piano d’intervento del premier Cameron.

I video della guerra civile hanno scosso le coscienze. La situazione ha spinto Papa Francesco a lanciare un accorato appello durante l’Angelus di domenica 1° settembre, seguito dalla veglia di digiuno e preghiera di sabato 7.

E noi? Che riflessioni possiamo fare nei confronti di questo scenario in rapida evoluzione? Esistono effettivamente Buoni e Cattivi? Forse no, se si pensa alla natura autoritaria e violenta del governo cui contrappone comunque uno schieramento eterogeneo, dalle forti componenti estremistiche. E ancora: un intervento militare in un paese straniero può realmente definirsi legittimo? Un Paese di cui non conosciamo nulla se non attraverso le immagini lontane che ci giungono dai media, di cui non possiamo mai verificare la effettiva veridicità. Inoltre: l’utilizzo di armi chimiche può mai essere giustificato? Risuonano ancora nelle nostre meni le immagini, fortissime, dei bambini uccisi nelle scuole Siriane. Ogni risposta razionale sembra disumana, perdendosi in dilemmi etici tanto delicati e fondamentali.

Infine, a chi attribuire la responsabilità e le conseguenze di decisioni tanto drammatiche? Agli Stati, ai governi, all’Onu? Cosa resta da fare e da pensare a noi cittadini, così lontani eppure così toccati dagli eventi? Spaventa il pensiero che la risposta debba contenere un “noi” a cui non possiamo sfuggire e che, aspettando ulteriori quanto tragici sviluppi, ci richiama ad un senso d’impotenza che oscilla tra angoscia e indifferenza.

“Mai pensare che la guerra, anche se giustificata, non sia un crimine” diceva Ernest Hemingway.

di Silvia Rossi e Samuele Paolucci