Responsabilità dei magistrati: distinguere i piani

Il cittadino potrà far causa direttamente al giudice, qualora ritenga di aver subito un “danno ingiusto”.

L’ipotesi, che richiama la responsabilità civile dei magistrati, è contenuta nell’“emendamento Pini”, approvato ieri alla Camera, nonostante il parere contrario del governo. L’emendamento – che non è ancora legge, e sarà presto all’esame del Senato – stabilisce che “chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento” di un magistrato, “in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o per diniego di giustizia”, possa rivalersi “agendo contro lo Stato e contro il soggetto riconosciuto colpevole”, ovvero – appunto – il magistrato. La norma supererebbe la legge Vassalli del 1988, varata un anno dopo il referendum che a larghissima maggioranza vide vincere i favorevoli alla responsabilità civile dei giudici. Secondo la normativa attuale la responsabilità è solo per i casi di “dolo” e “colpa grave”, ferma restando la possibilità di fare causa allo Stato e non direttamente al magistrato. Il voto della Camera ha innescato proteste politiche e la dura polemica delle correnti della magistratura, che hanno minacciato di ricorrere allo sciopero.

No all’azione diretta.

“È opportuna l’estensione dei casi nei quali il cittadino viene risarcito; viceversa è inopportuno che, per il risarcimento, ci si riferisca direttamente al magistrato”. Intervistato dal SIR, Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, ricorda che già oggi vi è un meccanismo di “tutela dei cittadini a fronte di un danno subito per un esercizio non corretto dell’azione giudiziaria”, ma al contempo è prevista la “protezione del magistrato da azioni pretestuose”. Se c’è una “colpa grave” del giudice “a chi è stato danneggiato risponde lo Stato, ma poi vi è un procedimento disciplinare e anche una parziale responsabilità patrimoniale del magistrato”. Ora, la proposta del deputato leghista Gianluca Pini porterebbe a un “allargamento dei casi di risarcimento” che, ad avviso del giurista, è “condivisibile”, mentre è “inopportuna l’azione diretta”. “Ciò che deve interessare – spiega Mirabelli – è il risarcimento al cittadino, e non la possibilità che questi persegua il magistrato”; in tal caso, infatti, si potrebbe creare “uno squilibrio tra le parti con un’indiretta intimidazione”.

Evitare semplificazioni.

D’altra parte “coordinare l’indipendenza dei magistrati con il diritto dei cittadini non è una questione che si può affrontare estemporaneamente, con un emendamento legislativo”, commenta al SIR Giovanni Giacobbe, per 25 anni magistrato e poi docente alla Lumsa di Roma. “È una semplificazione inappropriata e non corretta – sottolinea Giacobbe – porre la domanda: perché il medico o l’ingegnere pagano e il giudice no? E questo in virtù della specificità del lavoro. L’applicazione della legge non è un fatto matematico, un procedimento meccanico, ma serve uno sforzo d’interpretazione e di comprensione di molteplici fattori”. D’altra parte, provoca il magistrato, “il sistema giudiziario è, paradossalmente, fondato sull’errore del giudice. Altrimenti, se non ci fosse questa probabilità, non avrebbero senso i tre gradi di giudizio”.

Affrontare il problema.

Certo, contemplare l’errore “non vuol dire che il magistrato sia svincolato, poiché per dolo o comportamenti negligenti già oggi è chiamato a rispondere”. Tuttavia, quella della responsabilità civile “è una questione che ci trasciniamo da oltre 20 anni, dal referendum che fece seguito al processo Tortora, nel quale tutte le forze politiche si schierarono a favore”. Giacobbe ritiene “una grave responsabilità della politica” non aver affrontato la questione se non sull’onda delle emergenze e richiama a “una riflessione che affronti il problema in tutte le sue dimensioni”. E proprio a questa riflessione potrebbe dare il suo contributo anche la stessa magistratura. Mentre iniziative come lo sciopero annunciato, secondo Giacobbe, non sono condivisibili, dal momento che “l’indipendenza e autonomia tra i poteri dello Stato chiedono al parlamento di non interferire sull’attività dei giudici, ma pure costoro non possono interferire con indebite pressioni sull’iter dei lavori parlamentari”.