Quel silenzio che sa di sconfitta

Brembate Di Sopra, Corigliano Calabro, Avetrana, Pesaro, Perugia e, non ultima, Rieti. Sono solo i nomi di sei città italiane. Città che non passeranno alla storia per la loro bellezza artistica, o per i loro paesaggi, ma verranno ricordate perché palcoscenici di atrocità impossibili da dimenticare, e di colpevoli che nessuna prigione e nessuna pena sarà mai in grado di “guarire”. Città teatro di violenza sulle donne, violenza sconsiderata, brutale, inspiegabile, indicibile, e chi più ne ha, più ne metta. La violenza sulle donne è una piaga, qualcosa da combattere e possibilmente distruggere, qualcosa che ci dà, ogni giorno di più, una ragione in meno per sorridere, ma un motivo in più per cercare di recuperare quei valori che si spengono dentro le anime di vittime e carnefici.

Impossibile dimenticare i nomi di Yara, Sarah, Fabiana, Lucia, cosi come tanti altri. Le statistiche a riguardo sono allarmanti, quasi scioccanti: 650 donne uccise in Italia tra il 2005 e il 2010, ultimo anno in cui sono stati diffusi dati a riguardo, dati che inoltre segnalano un aumento costante di questo fenomeno negli anni. Il 78% di queste sono Italiane, e il movente è spesso legato alla fine di una storia (in oltre il 55% dei casi). In tanti si sono interrogati, cercando invano delle risposte. Tanti altri, invece, hanno chiesto a gran voce giustizia. Quella stessa giustizia che più di ogni altra cosa dovrebbe fornire risposte, spiegazioni e che troppo spesso, invece, rimane in silenzio, rendendosi, a sua volta, carnefice. La verità, ammesso che qualcuno un giorno, possa conoscerla, è che non esiste pena in grado di espiare l’infamia di uomini deboli, che nel nome di un sentimento hanno ucciso, massacrato, lasciando nell’aria un dolore che nessuno mai, sarà in grado di spiegare a parole.

La violenza sulle donne ha tanti volti, non solo quelli che la televisione o i giornali raccontano, ma ha anche i connotati di storie e amori malati che si consumano tra le mura domestiche e che trovano l’incapacità di far sentire la propria voce, di denunciare quei soprusi che macchiano indelebilmente la vita di chi li commette. Le domande sono molteplici, e le risposte patate bollenti che nessuno vuole avere tra le mani Occorrerebbe interrogarsi su quale sia, oggi, il reale valore che i sentimenti assumano. In troppi interpretano l’amore come il possesso di una persona, l’avere controllo assoluto sulla sua vita, sulle sue scelte. Una prigione invisibile, questa, come condanna per una scelta sbagliata. Sbarre che chiudono quei percorsi della mente che vedono nel futuro qualcosa per cui valga la pena vivere la vita costruendo qualcosa di importante e significativo per se stessi, per la propria felicità. Il primo, significativo, passo in avanti sarebbe quello di portare, chi subisce violenza, a denunciare, perché il silenzio è il primo complice dei violenti.

Le associazioni sul territorio italiano che si occupano di dare sostegno alle donne sono molteplici. Per quanto riguarda il comune di Rieti , il “Nido di Ana”, sportello antiviolenza per donne e minori, gestito dalla Capit Rieti, offre consulenza gratuita, assistenza psicologica, sociale, legale nonché reintegrazione sociale. Solo nel 2013 , questo sportello ha ricevuto e preso in carico oltre 30 richieste di aiuto, giunte nella quasi totalità dei casi da donne italiane. Si tratta di donne che, in prevalenza, denunciano stalking, ma anche violenza fisica e percosse, sia su di loro che sui loro figli. Dopo il femminicidio avvenuto a Rieti nello scorso febbraio, le denunce sono aumentate, soprattutto da parte di donne minacciate di morte insieme ai propri figli. È possibile contattare il “Nido di Ana” telefonicamente al numero 0746-491029 (centralino), oppure scrivendo a capitrieti@libero.it o consultando il sito sportelloantiviolenza.it.

Facciamo in modo che tutti coloro che nel mondo subiscono, possano tornare ad avere dei sogni da coltivare e veder crescere giorno dopo giorno. Facciamo in modo, più che possiamo, che la vita abbia lo stesso, meraviglioso, sapore per tutti. Il sogno più bello di tutti, però, è credere che tutto questo, un giorno, possa finire.

Mattia Esposito e Martina De Angelis