Primo Maggio a Cittareale

Primo Maggio a Cittareale. La Uil: «Il valore del lavoro fonda la ricostruzione»

Intervenendo alla festa del Primo Maggio organizzata dalle organizzazioni dei lavoratori insieme alla diocesi di Rieti, il segretario Uil Alberto Civita ha parlato del valore del lavoro entrando nello specifico dei problemi dell’economia locale e della riscostruzione

Ha invitato a riflettere sul “valore” del lavoro Alberto Civita, segretario generale Uil Roma e Lazio, durante l’iniziativa per il Primo Maggio organizzata dalla Chiesa di Rieti con le maggiori sigle sindacali a Cittareale. «Questo è un periodo nel quale i valori sembrano perdere di significato», ha spiegato Civita prendendo le distanze da chi sminuisce giorni come il 25 aprile o il Primo Maggio. Non senza notare che oggi i temi dell’occupazione non si possono risolvere in chiave nazionale. «Per questo il 26 aprile abbiamo manifestato a Bruxelles», ha spiegato il sindacalista, rilevando anche che l’Unione Europea, al netto delle sue disfunzioni, è una grande garanzia proprio per i diritti sul lavoro. Come quello ad essere assunto dopo un certo periodo di precariato.

Il valore del lavoro, è poi nel suo essere l’autentico agente della ricostruzione, che si fa «mettendo i lavoratori sui cantieri». E se è vero che qualcosa andava fatto «già prima del terremoto», è altrettanto vero che la tragedia del sisma contiene anche il potenziale di una grande rinascita. Un’opportunità da cogliere per far lavorare le aziende del territorio, i lavoratori della zona, per rimettere in moto la ricchezza, senza che questa vada in altre zone del Paese.

Poi è vero, non si può fare tutto da soli: al Paese occorre restare uniti, «è necessario che le istituzioni capiscano che sul centro Italia c’è bisogno di un’azione comune. Altrimenti i giovani non resteranno. Non bastano gli esempi nobili di chi sa tenere duro, di chi resta nonostante le difficoltà. Se non riparte l’economia più in generale, i pochi eroi non serviranno. Noi abbiamo bisogno di far rimanere i tanti che prima c’erano e adesso se ne sono andati».

Anche perché il dato nazionale parla chiaro: la fascia di età tra i 25 e i 34 anni è quella delle persone in maggiori difficoltà. «Sono gli anni in cui si cerca di mettere su famiglia», ha concluso Civita. Se non si crea un problema su di loro, non c’è alcuna speranza. E «la speranza è proprio quello che dobbiamo ridare ai giovani».