Francesco Antonetti è il presidente della Confederazione delle Confraternite che raggruppa circa tremila tra quelle canonicamente riconosciute nelle diocesi, con un milione e mezzo di confratelli: “Volendo, il primo articolo recita: nessuna liceità per cose lontane dal Vangelo e, quindi, immorali”. La necessità della formazione cristiana. Parte dei ricavi delle feste destinata alla carità.
I riti della Settimana Santa rappresentano non solo dal punto di vista ecclesiale, ma anche culturale e sociale, una ricchezza e un’eccellenza di tanti territori del nostro Paese. In molti casi è la stessa popolazione che si trova coinvolta perché vede espressa la sua anima più profonda e più vera. È la pietà popolare, nella sua più alta manifestazione. A fare da “motore” nelle diverse iniziative sono quasi sempre le Confraternite, largamente diffuse in Italia. Dal 2000 è attiva una Confederazione che ne raggruppa circa tremila tra quelle canonicamente riconosciute nelle diocesi, per un totale di circa un milione e mezzo di confratelli. Attualmente il presidente è Francesco Antonetti, della diocesi di Roma.
Presidente, la Settimana Santa vedrà coinvolte le Confraternite in processioni, riti, pii esercizi…, tradizioni secolari legate al territorio. Qual è il senso di questo impegno?
“Il senso va cercato nella stessa parola tradizione, che per noi significa trasmettere e incarnare nell’oggi i tesori della fede. E sta qui anche il senso autentico della pietà popolare: una via che, se vissuta nella Chiesa, porta all’essenziale. In questo noi siamo fortemente impegnati. E non è un caso che ci sia grande attenzione e partecipazione anche da parte dei giovani”.
“Quando voi portate in processione il Crocifisso con tanta venerazione e tanto amore al Signore – ha detto Papa Francesco nella Messa celebrata il 5 maggio 2013, in occasione della Giornata delle Confraternite e della pietà popolare -, non fate un semplice atto esteriore; voi indicate la centralità del Mistero Pasquale”…
“Papa Francesco, in quella Giornata, ci ha dato dei messaggi molto forti. Ricordo, in modo particolare, le tre parole chiave – evangelicità, ecclesialità, missionarietà – con l’invito a non accontentarsi di ‘una vita cristiana mediocre’ e a essere ‘un vero polmone di fede e di vita cristiana’. È dovere del confratello, quindi, vivere la fede in maniera radicale e profonda, anche attraverso la pietà popolare”.
È innegabile, però, che a volte c’è il rischio concreto della spettacolarizzazione. Cosa fare perché ciò non avvenga?
“Da tempo siamo impegnati nel far capire che la cosa più importante è la continua formazione. Se non si comprende perché si è confratelli, se non si è impegnati nella crescita della propria fede, chiaramente è possibile ogni tipo di deriva. Un confratello, perciò, non può essere una persona di non provata fede”.
Un altro nodo riguarda l’aspetto economico, con accuse di mancanza di trasparenza oppure pratiche inerenti all’aggiudicazione dei simboli…
“Tutti gli eccessi sono sicuramente da condannare. Non ci può essere mancanza di trasparenza nella gestione del denaro. Così come le aggiudicazioni dei simboli religiosi non devono apparire come atti di simbologia sociale: chi porta la statua, gode di un certo status symbol. Questo non deve avvenire! Anzi, chi porta la statua, lo fa perché invita tutta la comunità a seguire Cristo nel cammino concreto della propria vita. Per quanto riguarda le gestione del denaro, poi, vorrei segnalare che parte dei ricavi delle Confraternite nell’organizzazione di feste viene destinata in opere di carità e di assistenza verso i più bisognosi. Se così non fosse, si perderebbe una delle peculiarità della nostra storia. La pietà popolare non può prescindere dalla carità”.
Recenti fatti di cronaca ripropongono una questione antica: si è fatto tutto il possibile per cercare di allontanare dalle Confraternite qualunque sospetto di venalità? E, peggio, di commistione con organizzazioni malavitose?
“Noi stiamo cercando di combattere qualsiasi forma deviata. Laddove c’è un minimo sospetto, i vescovi devono essere pronti a fermare o, addirittura, a commissariare le Confraternite. Questo è anche avvenuto. Da parte nostra non ci può essere alcuna tolleranza”.
Perché non elaborare un Codice che sia valido per tutte le Confraternite, al di là dei singoli statuti?
“Quale miglior Codice del Vangelo! Lì etica e morale sono ben comprese. Se la Confraternita persegue fini evangelici, non c’è bisogno di Codici. In questi anni di attività, la Confederazione ha cercato di promuovere diverse iniziative – convegni, cammini di fraternità, incontri – per stare insieme, confrontarsi, interrogarsi su alcune questioni. Quindi, un Codice, anche se non scritto, in un certo senso è stato sviluppato. E volendo il primo articolo recita: nessuna liceità per cose lontane dal Vangelo e, quindi, immorali”.
In che modo purificare la pietà popolare da quelle incrostazioni che ne tradiscono il senso autentico?
“Solo attraverso la formazione. Le storture non hanno nulla a che vedere con la pietà popolare”.
In definitiva, è possibile conservare la bellezza delle tradizioni religiose del popolo…
“Certamente sì! Tradizione non significa innamoramento del passato, ma valorizzazione della fede dei padri nell’oggi. È il vissuto semplice del Vangelo nella società di ieri, che ha una valenza per l’oggi e per il domani. Come ricorda Papa Francesco: la pietà popolare ha molto da insegnarci”.