Chiesa di Rieti

Ottobre missionario: cuori ardenti, piedi in cammino

Dialogo con il direttore del Centro Missionario Diocesano, don Robert Kasereka Ngongi, su come la missionarietà s’intreccia ai percorsi di alfabetizzazione e solidarietà, e sulle conseguenze dell’annuncio cristiano rispetto ai problemi epocali della guerra e delle migrazioni

Ottobre è il mese delle missioni. Bene allora ripartire dal Messaggio di papa Francesco per la Giornata Missionaria Mondiale. Il tema di quest’anno è ispirato al racconto dei discepoli di Emmaus nel Vangelo di Luca e ha come tema “Cuori ardenti, piedi in cammino”. Il brano presenta Gesù che raggiunge i due proprio dove questi si trovano: in cammino, durante il percorso della loro vita, in quello che è il loro pellegrinaggio di tutti i giorni, fatto di progetti, di fatiche, di tristezze, di pause e di ripensamenti. Tre i passaggi chiave sottolineati dal Santo Padre: nel primo, i cuori dei discepoli si illuminano quando Gesù spiega loro le Scritture. La Parola di Dio illumina e trasforma il cuore nella missione. Allora come oggi, il Signore è vicino ai missionari quando si sentono smarriti e scoraggiati. La seconda sottolineatura parla di “Occhi che si aprono”: i discepoli riconoscono Gesù nello spezzare il pane. L’Eucaristia è il culmine e la fonte della missione cristiana. Spezzare il pane materiale e l’Eucaristia sono azioni missionarie, e l’adorazione quotidiana mantiene viva questa comunione con Cristo. In fine il “rimettersi in cammino”: lasciato Gesù, i discepoli partono immediatamente per condividere la gioia dell’incontro. Questo rappresenta l’urgente bisogno di annunciare il Vangelo in un mondo ferito. La missione della Chiesa richiede la partecipazione di tutti, con la preghiera, l’azione, l’offerta, e la testimonianza personale.

Con lo sguardo su più mondi

Di queste cose abbiamo parlato con don Robert Kasereka Ngongi, direttore del Centro Missionario diocesano, ma anche presidente di Opam, l’Opera di Promozione della Alfabetizzazione nel Mondo fondata nel 1972 da don Carlo Muratore. E proprio a partire dal particolare osservatorio di questa particolare associazione di ispirazione cristiana è interessante interpretare la realtà in senso missionario, ma anche entrare nel cuore dei problemi del nostro tempo. Non ultimi i temi della pace e delle migrazioni, sui quali lo stesso papa Francesco pone da tempo l’accento.

Attuale parroco di Castel di Tora, don Robert viene da lontano. Sacerdote da 32 anni, è nato in Repubblica Democratica del Congo, nella provincia del Kivu. Dopo aver svolto il ministero nel suo paese, don Robert ha trascorso una prima esperienza italiana di cinque anni in Sicilia, a Noto, dove tra le altre cose conosce l’Opam. Tornato in patria per assumere l’incarico di economo generale per la diocesi di Butembo, dopo un biennio è stato chiamato a Roma come presidente dell’Opera. E nell’accettare il compito fa una interessante scoperta: «Mentre entravo meglio nei meccanismi dell’associazione, ho scoperto che l’Opam mi aveva sostenuto nello quando ero bambino! Una notizia confermata dal mio parroco, che aveva conosciuto don Carlo Muratore».

Istruzione come strumento di riscatto

Lo scopo primario di Opam, infatti, è quello di fornire i mezzi ai poveri per un loro riscatto mediante l’istruzione. Tra i fondatori della Caritas italiana, don Carlo aveva compreso l’importanza di un nuovo approccio: «Assieme al cibo e alle medicine occorre dare ai poveri l’istruzione, perché riacquistino la propria dignità e autonomia senza dover dipendere sempre dagli altri».

«Per primi coinvolse i maestri italiani – racconta don Robert – ha coltivato insieme a loro l’idea di costruire scuole, sostenere gli insegnati, acquistare materiali didattici per bambini, fare adozioni a distanza di piccoli abbandonati che non avrebbero avuto altre possibilità. Oggi siamo presenti in 82 paesi di Africa, America Latina e Asia. Migliaia di progetti sono stati realizzati in oltre cinquant’anni e nel frattempo alcuni dei ragazzi sono passati da beneficiari a responsabili».

Le migrazioni nascono da guerra e misera

È in questo che l’azione di Opam intercetta gli argomenti delle migrazioni e della pace. Le prime sono in gran parte la conseguenza della povertà e dei conflitti. La lotta contro la miseria attraverso l’istruzione potrebbe evitare a molti di intraprendere viaggi pericolosi e disperati, e la sconfitta di analfabetismo e ignoranza è di certo un antidoto efficace alla propaganda e uno stimolo alla diffusione dei diritti. «Sogno il giorno in cui questi nostri fratelli saranno istruiti e avranno un mestiere in mano, perché quel giorno segnerà la fine della miseria e il principio di una nuova era fatta di operosità e pace», diceva don Carlo.

Educazione alla mondialità

Ma questa visione ha bisogno di un impegno comune. E per questo uno degli impegni di Opam e nell’educazione alla mondialità. Un approccio che ha poco a che fare con le teorie globaliste economiche e tecnologiche. «La mondialità è l’idea che siamo tutti nella stessa barca – spiega don Robert – che l’impegno di tutti dovrebbe essere nell’aiutarsi a vicenda. Quando aiutiamo gli altri, miglioriamo un po’ il mondo, e dunque aiutiamo in qualche modo anche noi stessi. In fondo è nell’indifferenza verso gli altri, nell’egoismo di chi accumula solo per sé stesso, nella sopraffazione dei fratelli, che nasce l’insicurezza del mondo. «La mondialità è il nome di un nuovo umanesimo, che vede ciascuno coinvolto, responsabile dell’altro».

Un pensiero sviluppato nel corso dei secoli dalla Chiesa cattolica che ha trovato forse una sua espressione sistematica nell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, nella consapevolezza che tutti gli esseri umani sono interconnessi e che il destino di ciascuno è legato al destino di tutti. La mondialità è la convinzione che la pace e la prosperità del mondo possono essere raggiunte solo attraverso la cooperazione e la solidarietà tra i popoli. È in questa prospettiva che va letta la posizione del papa sulle migrazioni, compresi i suoi recenti interventi a Marsiglia, in occasione delle Rencontres Méditerranéennes, quando ha spiegato che nell’«odierno mare dei conflitti» il Mediterraneo deve «tornare a essere laboratorio di pace» perché «esprime un pensiero non uniforme e ideologico, ma poliedrico e aderente alla realtà; un pensiero vitale, aperto e conciliante: un pensiero comunitario».

Fare piccole cose

Un impegno nell’attività di Opam, talvolta si traduce in azioni piccole e feconde. «Per unire istruzione ed educazione all’impresa – spiega don Robert – in alcuni villaggi doniamo ai bambini una coppia di conigli. Se ne hanno cura, si moltiplicano alla svelta e garantiscono loro una piccola entrata con cui finanziare l’acquisto del materiale didattico. Ma in parallelo i bambini imparano ad avere un approccio economico alla realtà, scoprono che essa è anche relazione con gli altri e con le cose, cioè politica».

A parlare di conigli sembriamo esserci allontanati dall’orizzonte del Messaggio per la Giornata missionaria, e invece il succo è ancora lì: «L’educazione alla mondialità è uno dei volti dell’annuncio. È un modo per dire che siamo tutti diversi, ma anche tutti figli dello stesso Padre. Siamo tutti a immagine di Dio e abbiamo di conseguenza tutti la stessa dignità. Lo comprendiamo fino in fondo quando incontriamo Gesù: dopo non possiamo che avere il “cuore ardente”, non possiamo che “metterci in cammino” per portare questa notizia, per condividerla coi fratelli. È l’augurio per questo ottobre missionario: avere questa grande gioia di essere umani, di condividerla con i fratelli, tendendo loro la mano, compiendo un gesto, pronunciando una buona parola». Può sembrare strano e ingenuo, ma forse non è poi così difficile migliorare un po’ il mondo.