Nelle mani dei tecnici

La democrazia pare essersi rotta e andiamo in cerca di tecnici in grado di metterci mano. Speriamo non ci dicano che aggiustarla costa troppo ed è meglio buttarla via per affidarsi a qualcosa di nuovo.

che hanno da festeggiare?


Alla fine è successo: Berlusconi si è dimesso. Il “biscione”, però, non sembra essere caduto a causa del proprio malgoverno. Non ha dovuto passare la mano neanche a causa delle proprie miserie, né dei suoi guai giudiziari. Ancora meno, è stato scacciato dal farsi avanti di una credibile alternativa politica. Persino le piazze hanno ampiamente fallito in questo: non si capisce cosa abbiamo da esultare.

A conti fatti, pare che il Governo sia stato rottamato dagli interessi della geopolitica finanziaria, oggi ben rappresentata dal viso pulito e rassicurante del vertice della BCE. Con sapienti manovre gli speculatori hanno manipolato il mercato e affossato il nostro Paese facendo leva sul debito. Non siamo tra le prime vittime di queste strategie e probabilmente non saremo le ultime.

Il senso comune


Intanto, per uscire dalla crisi euro-italiana, ci viene imposto un governo tecnico. Si vuol lasciar intendere che arriverà una sorta di positivo governo “dei talenti”. Cosa c’è di meglio, infatti, che avere ministeri diretti da luminari alla Sanità, generali alla Difesa, economisti all’Economia e professori all’Istruzione? Al senso comune pare la scelta migliore. Verrebbe da continuare con pensionati alle Pensioni, badanti alla Famiglia e sedicenni alla Gioventù! Ma non è tempo di scherzare.

La distruzione della politica


In questi anni, ogni sforzo è stato compiuto per rendere la vita politica ridicola, inutile, malata. In questo Berlusconi è stato decisivo. La sua attività corrisponde ad un’instancabile opera di livellamento verso il basso del discorso pubblico. Un lavoro attraverso cui ha portato al disgusto per l’idea stessa dell’uomo politico. Mentre media e istituzioni danno l’allarme, nessuno pensa a soluzioni di ordine democratico. La situazione è grave, si dice, gravissima: mica ci possiamo affidare all’inaffidabile politica. Un governo tecnico, ecco quello ci vuole. “Tecnico”, cioè libero dall’ideologia, guidato dalla scienza, dalla pura e incondizionata razionalità.

La nuova ideologia


È una mistificazione. Il prossimo governo sarà tutto fuorché privo di ideologia. Al contrario, sarà il prodotto, l’affermazione definitiva, dell’ideologia economicista, mercatista, neoliberista o comunque la si voglia chiamare. È il pensiero che vede nel profitto l’unico scopo dell’agire umano. Un pensiero totalitario, che tutto asserve, democrazia compresa, anche se per legittimarsi ha ancora bisogno dell’approvazione formale del Parlamento. L’Emiciclo, del resto, non è più il luogo in cui discutere posizioni, mediare tra istanze sociali, rappresentare le forze vive del Paese. Nel Mondo Nuovo ha il solo compito di ratificare le indicazioni fornite dalla finanza internazionale, dalle élite illuminate, dagli euroburocrati. Realizzare tagli inauditi, privatizzare i beni pubblici, portare avanti la demolizione dei diritti sociali in nome dell’Euro e della “stabilità”: questo è l’unico programma all’ordine del giorno delle Camere.

Il ruolo della sinistra


Berlusconi era pure pronto ad eseguire gli ordini. Nelle sue “lettere d’amore” con l’Unione si è sempre dimostrato disponibile a fare «quello che ci chiede l’Europa». Probabilmente però, si tratta di richieste troppo audaci persino per il campione del partito azienda. Mister B. ha tentato una serie di misure improvvisate e inconcludenti, cercando di fare l’impossibile: accontentare la BCE senza perdere elettori. Non è pane per i suoi denti. Per queste cose la scelta è obbligata: occorre lavorare da “sinistra”. È stato così anche in passato: pensioni e diritto del lavoro mica sono stati riformati ad Arcore. Solo passando attraverso la finta mediazione sindacale e socialdemocratica si può tentare di limitare la resistenza al disfacimento dei diritti sociali, dei redditi, dei servizi pubblici. Gli sforzi per ottenere quanto di buono abbiamo conosciuto dal dopoguerra sono tutt’altro che dimenticati. Sono conquiste “di sinistra” e solo da sinistra si può essere credibili nel sottrarle. Per sostenere l’implacabile “razionalizzazione” imposta dal tecnico ci vuole il phisique du role. C’è da scommetterci: con il volto sofferente, certi leader parleranno di rinunce inevitabili, di una cessione di diritti necessaria alla crescita in un mondo che è cambiato, dei “magnifici” mercati come unico bene comune.

TINA?


Il mantra mediatico nazionale prevede un periodo di equità e crescita, rigoroso senza però arrivare a misure “lacrime e sangue”. Ma i presupposti su cui nasce il nuovo governo dell’Italia lasciano assai poco tranquilli. Il matrimonio tra espansione capitalista e democrazia è terminato. L’orrore dell’oligarchia europea di fronte all’ipotesi di un referendum in Grecia ne è una prova. Per gli euroburocrati l’opinione del popolo sulla propria politica di infinita austerità – l’unica capace di soddisfare i mercati finanziari – non conta o è pericolosa. Il messaggio che deve passare è la “TINA” (there is no alternative). Ma perché mai non dovrebbe esserci una alternativa? In nome del contratto capestro che tiene insieme la moneta europea?

Molta parte della situazione attuale si regge su una cittadinanza facilona e irresponsabile. La folla multicolore degli indignati scesi in piazza quando Berlusconi si è dimesso ne è un esempio. Tolto di mezzo l’equivoco di un immotivato senso di liberazione, è parsa celebrare la rinuncia ai diritti politici e alla volontà di governo. Un massa pronta a mettersi «nelle mani di una nuova casta di proprietari privati della politica, che si attribuiscono la conoscenza di tecniche sofisticate e impenetrabili di dominio e di governo», per dirla con le parole di Álvaro García Linera, vice-presidente della Bolivia. Al tramonto del sogno berlusconiano segue l’incubo della tecnocrazia. Che brutto sonno, che orribile nottata! Sembra interminabile. Ma la nostra narcosi è un po’ indotta e un po’ di comodo. Se ricominciamo a ragionare insieme, forse scopriamo che vale la pena di svegliarsi.