Matrimonio canonico: non sempre va tutto bene

Il matrimonio canonico secondo la visione cristiana è un perfetto contratto e un perfetto sacramento. Aspetti tra loro inscindibili, tanto che se manca l’uno non si realizza l’altro e viceversa. E se si dovesse verificare che un matrimonio era “finto”, lo è in riferimento ad entrambi agli aspetti: non c’è mai stato alcun legame tra quelle due persone, che umanamente mai si sono unite e davanti a Dio mai si è realizzato ciò che dona la grazia sacramentale. Quel che, in termini tecnici, si chiama nullità matrimoniale.

Se ne è parlato abbastanza, al convegno tenutosi – sotto l’egida di alcuni uffici diocesani, del Circolo Acli “SoS Obiettivo Famiglia” e dell’Ordine forense reatino, su iniziativa di due giovani avvocati rotali – all’auditorium Varrone mercoledì scorso. Le relazioni offerte si sono avvalse di un linguaggio per molti versi per addetti ai lavori con molti dettagli tecnici, ma anche a meno avvezzi tra il pubblico (tra cui diversi insegnanti specialmente di religione) hanno aperto gli occhi su uno scenario sempre più comune, con cui avvocati da una parte, operatori pastorali dall’altra si trovano sempre più spesso ad avere a che fare: matrimoni celebrati in chiesa che falliscono, e fallimenti che troppo spesso finiscono nei tribunali civili per cause di separazione e divorzio, quando in diversi casi da separare non c’è proprio nulla, dato che nulla mai è stato unito, e sarebbe più opportuno prendere la via del tribunale ecclesiastico per la dichiarazione di nullità.

Cosa ben diversa da un annullamento, ha ben spiegato don Giorgio Ciucci, canonista che opera come giudice istruttore al Vicariato di Roma. Il suo intervento ha ben affrontato le diverse questioni che interessano il tema (con riflessi, per esempio, derivanti dai matrimoni misti, o sulle complicate sfaccettature che entrano in gioco quando si deve verificare la validità canonica di un vincolo nuziale).

Sul rapporto tra nullità canonica e divorzio civile si è invece soffermato l’avvocato rotale Flavio Takanen, che ha ben chiarito come, nella legislazione italiana, l’ammissione del divorzio si concepisca come rimedio a situazioni estreme, mentre civilmente parlando può esistere una possibilità di annullamento che l’ordinamento canonico non conosce: quel che è riconosciuto nullo, infatti, per la Chiesa è un vincolo mai realmente esistito, e in tal caso lo Stato si limita a prendere atto di un matrimonio che non c’è, con quell’atto che tecnicamente si chiama delibazione.

Ma che cosa se ne sa in giro e come questa roba un po’ particolare è percepita? Ne ha parlato il terzo relatore, Alessio Valloni, che da  docente di psicologia e scienze sociali ha voluto condurre all’uopo una piccola ricerca – in stile “casareccio”, senza la metodologia statisticamente precisa, ma comunque ben rappresentativa del “sentore” locale in merito – chiedendo in giro a varie persone, da giovani studenti a persone adulte, da laici credenti a non credenti a consacrati. Ne è venuto fuori che la scarsa conoscenza in materia di nullità matrimoniali, il pregiudizio, l’imprecisione informativa (compreso il radicatissimo luogo comune che considera la possibilità di dichiarare nullo un matrimonio come roba esclusiva da vip) imperano in senso lato. Però, ha detto Valloni, c’è curiosità in materia, disponibilità alla comprensione, apertura a saperne di più nonostante le disinformazioni e i pregiudizi: bene, perciò, insistere nel convogliare le persone verso una maggiore conoscenza, in modo che – è stato ribadito – si sappia di più e meglio che al tribunale ecclesiastico, per matrimoni che erano in realtà pure “sceneggiate” (il campionario dei quali non è certo scarso, come ben sanno molti parroci e operatori pastorali…) e di cui è bene riconoscerne formalmente quella nullità che è nei fatti, non è poi così difficile arrivare.