L’impero virtuale di Curcio. Il libro oltre la polemica

È stato presentato a Rieti, tra le polemiche del sindacato di Polizia Sap, e non solo, il libro “L’impero virtuale. Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale” dell’ex ideologo delle Brigate Rosse Renato Curcio.

Ma il volume non ha nulla a che vedere con gli anni di piombo: guarda invece al «cambiamento vertiginoso e profondo nel quale siamo tutti immersi». Parla cioè della rete, vista secondo l’ottica delle istituzioni totali (come carceri, manicomi e aziende della grande distribuzione). Un tema che ha interessato il sociologo a partire dalla sua quasi trentennale detenzione penitenziaria.

Il campo di analisi non è nuovo. Il tentativo di Curcio è quello di approfondire la capacità di sfruttamento e controllo delle informazioni che ogni utente immette in rete da parte del potere politico ed economico. E non ci sono solo i banali dati anagrafici, ma anche i testi delle chat e delle e-mail e le immagini diffuse in rete ed indagate tramite le tecnologie di riconoscimento facciale, fino ad arrivare alle iridi degli occhi e alle impronte digitali fornite per accedere ai dispositivi.

Uno scenario nel rapporto tra i singoli e potere che va ben al di là del tormentone sulla privacy, finendo con il sollevare un problema di libertà più generale. Nel lavoro di Curcio – infatti – sembra essere presente l’invito a prendere la misura della colonizzazione fisica e dell’anima provocata dalle tecnologie informatiche. Un complesso di situazioni che condiziona gli scopi, i desideri e la vita di ciascuno. E l’operazione non avviene solo tramite strumenti “espliciti” e tutto sommato “volontari” come i computer, gli smartphone o i tablet, ma anche attraverso la disseminazione di dispositivi informatici vissuti passivamente negli ambienti urbani, lavorativi, commerciali e di svago quali sono i sensori e le telecamere, le casse automatiche, le card dotate di microchip e i localizzatori gps.

E le tecnologie inframezzano la comunicazione e le relazioni anche quando il compagno di scuola, il collega di lavoro o il conoscente chiede l’amicizia nei social per entrare in connessione, abilitando implicitamente i gestori ad usare nei più svariati modi queste dinamiche mappe delle relazioni.

Relazioni che non sono mai facili, ma che difficilmente possono essere condotte sul filo del 140 caratteri di Twitter. Perché, come la critica, richiedono discorsi complessi, e continue spinte verso l’alto. In questo senso la riflessione dell’autore non è “apocalittica”. Sa che internet è un orizzonte che non può essere rifiutato, perché in sostanza corrisponde al mondo. Si tratta allora di capire se determinate soluzioni tecnologiche sono davvero le uniche possibili e soprattutto di coltivare una maggiore consapevolezza verso la vita digitale e «l’oligarchia capitalistica» che la gestisce, cercando di usare le tecnologie invece di subirle.