La parole del Papa

Le nostre comunità siano “oasi di misericordia”

Francesco all'Angelus: non cadere “nella tentazione di ridurre la nostra appartenenza di figli a una questione di leggi e proibizioni, di doveri e di adempimenti

Francesco all’Angelus: non cadere “nella tentazione di ridurre la nostra appartenenza di figli a una questione di leggi e proibizioni, di doveri e di adempimenti. La nostra appartenenza e la nostra missione non nasceranno da volontarismi, legalismi, relativismi o integrismi, ma da persone credenti che imploreranno ogni giorno con umiltà e costanza: venga il tuo Regno”

La veste della festa, l’anello e i sandali. Nel racconto di Luca sono i dettagli che ci aiutano a riflettere su quanto è accaduto, in occasione del ritorno del figlio più giovane che “raccolte le sue cose” aveva lasciato la casa paterna per farvi ritorno dopo aver sperperato la parte di patrimonio ricevuta. È la parabola del figlio prodigo, o, forse, dovremmo chiamarla piuttosto del padre misericordioso. La storia la conosciamo bene, l’andare in un altro paese, dilapidare i beni ricevuti, lavorare da servo e il ritorno dal padre per chiedergli di essere accolto come servo. Ma ecco che il padre risponde con i tre segni: l’abito della festa, innanzitutto; cioè l’abito del padrone, del signore della casa, non del servo. L’anello, probabilmente quello con il sigillo della famiglia, e, dunque, ecco che torna ad essere il figlio rispettato e amato nella sua dignità. Infine, i sandali, segno di un uomo libero perché i servi sono scalzi. Quindi il vitello grasso ucciso per la festa del ritorno, simbolo della Pasqua celebrata al termine del lungo e faticoso cammino del popolo di Israele uscito dall’Egitto; e il rifiuto del figlio maggiore di partecipare al banchetto.
La volontà di essere autonomo, indipendente, la ricerca di una libertà dal padre, anima la scelta del figlio più giovane. Il suo ritorno è ritmato dalla paura di essere rifiutato, giudicato. Ma il padre annulla la lunga separazione nel perdono, nell’impazienza di chi ha atteso quel momento e ora gioisce. Il figlio maggiore, invece, è vinto dalla rabbia, è incapace di comprendere il gesto paterno, la gratuità del dono.

Nella parabola, il Padre non attende sulla porta l’arrivo del figlio che “era morto ma è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”, ma gli corre incontro. Così corre dal figlio maggiore per farlo entrare in casa. Questi, ricorda Papa Francesco “nella sua incapacità di partecipare alla festa, non solo non riconosce suo fratello, ma neppure riconosce suo padre. Preferisce l’essere orfano alla fraternità, l’isolamento all’incontro, l’amarezza alla festa. Non solo stenta a comprendere e perdonare suo fratello, nemmeno riesce ad accettare di avere un padre capace di perdonare, disposto ad attendere e vegliare perché nessuno rimanga escluso, insomma, un padre capace di sentire compassione”.

Celebra la messa, il Papa, nel Complesso Sportivo Principe Moulay Abdellah, di Rabat, ultimo appuntamento della sua visita di due giorni in Marocco. Ricorda che sulla soglia di quella casa “sembra manifestarsi il mistero della nostra umanità: da una parte c’era la festa per il figlio ritrovato e, dall’altra, un certo sentimento di tradimento e indignazione per il fatto che si festeggiava il suo ritorno”. Tensione che viene vissuta “tra la nostra gente e nelle nostre comunità”, quasi a chiedersi: “Chi ha il diritto di rimanere tra di noi, di avere un posto alla nostra tavola e nelle nostre assemblee, nelle nostre preoccupazioni e occupazioni, nelle nostre piazze e città? Sembra che continui a risuonare quella domanda fratricida: sono forse il custode di mio fratello?”.
Per il Papa ciò che minaccia l’uomo è “la tentazione di credere nell’odio e nella vendetta come forme legittime per ottenere giustizia in modo rapido ed efficace. Però l’esperienza ci dice che l’odio, la divisione e la vendetta non fanno che uccidere l’anima della nostra gente, avvelenare la speranza dei nostri figli, distruggere e portare via tutto quello che amiamo”.

Vanno superate “le nostre miopi logiche di divisione”, per avere “uno sguardo che non pretenda di oscurare o smentire le nostre differenze cercando forse un’unità forzata o l’emarginazione silenziosa”.

Le nostre comunità siano “oasi di misericordia” chiede Francesco che invita a non cadere “nella tentazione di ridurre la nostra appartenenza di figli a una questione di leggi e proibizioni, di doveri e di adempimenti. La nostra appartenenza e la nostra missione non nasceranno da volontarismi, legalismi, relativismi o integrismi, ma da persone credenti che imploreranno ogni giorno con umiltà e costanza: venga il tuo Regno”.

Fabio Zavattaro per il Sir